Il turismo
alternativo nel quale mi sono tuffato per 50 giorni, ovviamente oltre a viaggi
low cost in camion giganti e lussuosissimi resort di alberi e sterpaglie, ai fianchi dei fiumi più limpidi del
Cile mi ha regalato esperienze ai limiti
del normale,impagabili.
Impagabili
appunto perché non c’è un prezzo da fissare ai tramonti mozzafiato , veri
orgasmi a base di rosso,rosa,arancio, per i miei occhi abituati , da un po’ di tempo a questa parte, ai colori
sintetici dello schermo del computer. Non si può fissare il prezzo all’ebbrezza
dell’ ignoto offerto dallo spalancarsi della portiera di un camion. Non si può fissare il prezzo al dormire distesi a naso in sù, su di un letto di sabbia umida, a 2 passi dalle
scogliere dell’oceano a migliaia di km dalla luna piena, che sembra alla
portata di dito(altro che touch screen e smartphone), sferzati dalla brezza
“pacifica” dell’oceano più grande al mondo. Insomma,potrei continuare così riempiendo almeno 3 pagine di liste degli
spettacoli che hanno spinto i miei orizzonti emozionali sempre più in là,ma
sarebbe masochista per me,che ormai ricordo il mio girovagare ai “confini del mondo” come si ricordano le
avventure amorose estive il 15 ottobre.
Insomma parafrasando e parodiando il celeberrimo spot : “per tutto il resto c’è
Mastercard”.
Ma lontano
dal mondo codificato delle banche ,la mia avventura è stata un continuo
esperimento ai limiti della soglia di povertà fissata dall’Onu( 2 dollari al
giorno,circa 1,50 euro). Ho cercato di raddoppiare la cifra e vedere cosa sarebbe successo. I risultati sono e saranno disvelati in queste pagine cibernetiche.
Essere un S. Franceso del terzo
millennio,non ha dietro una voglia di
sciovinismo e nessuna pretesa di
illuminare il mondo malato di abbondanza. Dietro le nostre azioni e il nostro
viaggio non c’è nessuna logica hippie e nessuna morale comunista, c’è stata
solo la voglia di adattarci al mondo del viaggio on the road, lontano dalla
modernità. L’individualismo delle metropoli tutte,anche quelle sudamericane,
lascia il posto all’altruismo delle popolazioni “rurali” , che più o meno tutte
ci hanno accettato come in una grande famiglia, multietnica, multilingue ,
multiculturale. In questa grande famiglia non
conta il taglio di capelli,il colore della pelle, insomma si capisce..
Vivere con
4-5 euro al giorno,per me non era una grande novità. Grazie al poco che resta
dello stato sociale italiano : la borsa di studio, ho potuto pagarmi da solo
gli studi e sopravvivere, lontano dai fasti delle feste universitarie stile
Usa, che anche in Italia vanno per la maggiore. Ma poco importa. Ho sempre
piacevolmente barattato l’emozione di sorseggiare un birra alla spina al bar con la “peroni fresca” a casa con i 4 amici di
sempre, ho sempre glissato le caotiche
discoteche romagnole , preferendo ballare con il sottofondo della musica che
voglio, fresca fresca da una playlist di youtube. Insomma mi piacciono le cose
fatte in casa, in tutti i sensi. Questo non vuol dire che abbia vissuto recluso
come i frati cappuccini, anch’io ho ripudiato l” ora et labora “ e lo ho convertito nel miglior “studia e divertiti”.
Ma viaggiare con 4-5 euro al giorno
calcolando il mangiare,il bere e ,soprattutto in Bolivia, il dormire è diverso
dalla statica vita da studente fuori-sede.
Per cercare
di limitare le spese e di restare fermo sulla cifra media prefissata l’unica
soluzione è portare con sé i “soldi contati”, ovviamente non tutti insieme per evitare i più che probabili furti.
Per questo
motivo sullo sfondo del deserto dell’Atacama le nostre colazioni, pranzi e cene
erano sempre a base di pane. Panini grandi ,medi e piccoli. Avevamo
rinunciato a tutte le piccolissime cose
che riempiono la nostra routine, l’unico grande simbolo della normalità,lontana
12 mila km era il pane. Da buon “terrone” il pane per me rappresenta il cibo.
Il fatto che 500 gr costassero un terzo di quanto potevamo spendere lo rendeva
insostituibile. Il companatico variava dai pomodori all’ “avogado” ,
accompagnati dalla maionese ,l’unico indispensabile apporto dei buon vecchi
grassi saturi. Questo era più o
meno il nostro menù fisso giornaliero che , a seconda dei prezzi, si arricchiva
di gallette e cioccolato per l’indispensabile apporto di zuccheri. Mangiare poco,
ma io direi il giusto è riscoprire
davvero i sapori. Con l’acquolina in
bocca dopo tutto un giorno di autostop, con il caldo che consuma le ultime
energie, i 4 panini giornalieri sanno a
buono. I gusti dei pomodori da supermercato vengono sublimati dalla fame e la
maionese all’improvviso si trasforma nella salsa speciale, la migliore della
vita.
Andare
avanti a pane e acqua ,camminare per km
è anche il metodo più efficace per smaltire i kili in eccesso. Lontano
dai miracolosi spot americani per il dimagrimento , 23 giorni di Zig zag cileno
mi sono costati 7 kili e ,per la prima volta dopo 2 anni, sono ritornato a
vedere i miei addominali nascosti. Sentirsi in forma ,più leggeri e più forti
nonostante i soliti 4 panini è lo sprone migliore per continuare a girovagare,
se si aggiungono i paesaggi e le avventure, si capisce che passare 3-4 mesi
così, è vivere in un limbo sospeso qualche metro da terra,lontano dalla
pressante routine, che in questo caso è rappresentata dai 4-5 pasti
giornalieri.
Dal limbo
cileno,siamo poi ripiombati nell’inferno o meglio nell’ inverno della Bolivia.
La Bolivia è piena di contraddizioni,la prima è quella di avere un inverno in
estate, il famosissimo inverno boliviano. Se avessi viaggiato per l’Europa a
febbraio sarei stato giustamente punito dal freddo,dalla pioggia,dal vento e,in
alcuni casi, dalla neve. Ma febbraio nell’emisfero australe è il nostro
agosto,l’afa e il caldo non avrebbero lasciato scampo a giovani girovaghi come
noi e, tutto sommato, fino a passare la
frontiera lo scenario era quello: caldo pressante e cali di zucchero. Ma la
Bolivia, per la sua posizione geografica, vive 2 stagioni uniche: secca e
piovosa , che si sovrappongono alle nostre 4.
Essendo un
Paese in via di sviluppo(seguendo la nomenclatura politically correct) , il
costo della vita calza perfettamente , o quasi, con i salari da miseria dei
contadini, operai e minatori, che costituiscono lo zoccolo duro della forza
lavoro boliviana. I nostri 4-5 euro al giorno,per il cambio favorevole,
valevano nell’ordine da 2 a 3 pasti completi, un letto dove dormire e qualche
serata fredda,riscaldata dal dolcissimo liquore alla cocaina. In Bolivia è
stata un’esperienza on the road,ma ai limiti dell’opulenza. Presi dalla
sindrome dell’europeo ricco, sempre grazie al cambio, ci siamo anche presi il
lusso di abbandonare l’autostop e affidarci alle “sicurissime”autolinee
boliviane, il tutto sforando il nostro tetto di spesa giornaliero,ma comunque
non oltrepassando i 5 euro.
Circoscrivendo l’opulenza all’ambito culinario, i 25 giorni boliviani
sono stati il ritorno al cibo,molto spesso grasso della strada. Mi spiego.
Salvo nelle grandissime città in Bolivia non esistono i supermercati, che In
Cile sono stati la nostra salvezza con le offerte sui pomodori e il pane, quindi
i beni di prima necessità da mangiare si comprano nei mercati,una babilonia che
parla tutte le lingue autoctone boliviane, un caleidoscopio di colori,ma
soprattutto una fucina di infezioni, molte intestinali,visto la scarsa
attenzione all’igiene. E qui un inciso, i boliviani non sono sporchi per
pigrizia, sono sporchi per cultura.
Vivere più di venti giorni a “pane e acqua” e
arrivare in Bolivia è un’esperienza “double faz” . Nei mercati si mangia tanto
con pochissimo, quindi si può tranquillamente soddisfare la fame accumulata nei
giorni precedenti. L’altro faccia della
medaglia è che alla cucina boliviana
manca la qualità necessaria per essere definita salutare. Per affrontare le
condizioni climatiche e geografiche proibitive i boliviani mangiano pesantissimo.
Zuppe a base di tutto e carne, sempre pollo, rigorosamente fritto,
completano il tutto spaghetti fritti e
riso pallido.
La cosa
positiva è che, vista la qualità del cibo, tutto quello che si mangia si
elimina. I bagni pubblici boliviani, che da poco hanno preso piede in Bolivia,
capita passeggiando per le strade vedere scritto sui muri : “vietato defecare
qui”, sono lo scenario quotidiano della
guerra dei boliviani alla diarrea. La diarrea è un problema diffusissimo in
Bolivia,tanto che gli spot nostrani importati dagli Usa pro-dimagrimento ,sono
sostituiti dagli spot caserecci di
venditori di infusi contro la diarrea. Chiaramente non c’è nessuna
televisione,ma solo centinaia di stand, dire stand è dare un’immagine più o
meno verosimile,visto che si tratta di un lenzuolo disteso a terra. I venditori
guadagnano più di un qualsiasi minatore,operaio e contadino, vendendo pezzi di
legno che trasudano una resina giallastra ,che cotta è il miglior rimedio al
cibo spazzatura. Le proprietà magiche di questa resina contribuiscono a
ripulire l’intestino uccidendo la flora intestinale superstite in un bagno di
diarrea. Della serie chiodo scaccia chiodo.
Dopo 23
giorni di Bolivia siamo ritornati in Cile passando per il Perù svuotati e
felici più che mai di ritornare a vivere
a pane e acqua.
Paz,amor y
libertad!