Translate

venerdì 25 ottobre 2013

UN viaggio a scrocco: Pane e Acqua

Il turismo alternativo nel quale mi sono tuffato per 50 giorni, ovviamente oltre a viaggi low cost in camion giganti e lussuosissimi resort  di alberi e sterpaglie,  ai fianchi dei fiumi più limpidi del Cile  mi ha regalato esperienze ai limiti del normale,impagabili.

Impagabili appunto perché non c’è un prezzo da fissare ai tramonti mozzafiato , veri orgasmi a base di rosso,rosa,arancio, per i miei occhi  abituati , da un  po’ di tempo a questa parte, ai colori sintetici dello schermo del computer. Non si può fissare il prezzo all’ebbrezza dell’ ignoto offerto dallo spalancarsi della portiera  di un camion. Non si può fissare il prezzo al  dormire distesi a naso in sù, su  di un letto di sabbia umida, a 2 passi dalle scogliere dell’oceano a migliaia di km dalla luna piena, che sembra alla portata di dito(altro che touch screen e smartphone), sferzati dalla brezza “pacifica” dell’oceano più grande al mondo. Insomma,potrei continuare così  riempiendo almeno 3 pagine di liste degli spettacoli che hanno spinto i miei orizzonti emozionali sempre più in là,ma sarebbe masochista per me,che ormai ricordo il mio girovagare  ai “confini del mondo” come si ricordano le avventure amorose  estive il 15 ottobre. Insomma parafrasando e parodiando il celeberrimo spot : “per tutto il resto c’è Mastercard”.

Ma lontano dal mondo codificato delle banche ,la mia avventura è stata un continuo esperimento ai limiti della soglia di povertà fissata dall’Onu( 2 dollari al giorno,circa 1,50 euro). Ho cercato di raddoppiare la cifra e vedere cosa sarebbe successo. I risultati sono e saranno disvelati in queste pagine cibernetiche.        Essere un S. Franceso del terzo millennio,non ha dietro una  voglia di sciovinismo  e nessuna pretesa di illuminare il mondo malato di abbondanza. Dietro le nostre azioni e il nostro viaggio non c’è nessuna logica hippie e nessuna morale comunista, c’è stata solo la voglia di adattarci al mondo del viaggio on the road, lontano dalla modernità. L’individualismo delle metropoli tutte,anche quelle sudamericane, lascia il posto all’altruismo delle popolazioni “rurali” , che più o meno tutte ci hanno accettato come in una grande famiglia, multietnica, multilingue , multiculturale. In questa grande famiglia non  conta il taglio di capelli,il colore della pelle, insomma si capisce..

Vivere con 4-5 euro al giorno,per me non era una grande novità. Grazie al poco che resta dello stato sociale italiano : la borsa di studio, ho potuto pagarmi da solo gli studi e sopravvivere, lontano dai fasti delle feste universitarie stile Usa, che anche in Italia vanno per la maggiore. Ma poco importa. Ho sempre piacevolmente barattato l’emozione di sorseggiare un birra alla spina al bar  con la “peroni fresca” a casa con i 4 amici di sempre,  ho sempre glissato le caotiche discoteche romagnole ,  preferendo  ballare con il sottofondo della musica che voglio, fresca fresca da una playlist di youtube. Insomma mi piacciono le cose fatte in casa, in tutti i sensi. Questo non vuol dire che abbia vissuto recluso come i frati cappuccini, anch’io ho ripudiato l” ora et labora “ e lo ho  convertito nel miglior “studia e divertiti”. Ma viaggiare con 4-5  euro al giorno calcolando il mangiare,il bere e ,soprattutto in Bolivia, il dormire è diverso dalla statica vita da studente fuori-sede.

Per cercare di limitare le spese e di restare fermo sulla cifra media prefissata l’unica soluzione è portare con sé i “soldi contati”, ovviamente non tutti insieme  per evitare i  più che probabili furti.
Per questo motivo sullo sfondo del deserto dell’Atacama le nostre colazioni, pranzi e cene erano sempre a base di pane. Panini grandi ,medi e piccoli. Avevamo rinunciato  a tutte le piccolissime cose che riempiono la nostra routine, l’unico grande simbolo della normalità,lontana 12 mila km era il pane. Da buon “terrone” il pane per me rappresenta il cibo. Il fatto che 500 gr costassero un terzo di quanto potevamo spendere lo rendeva insostituibile. Il companatico variava dai pomodori all’ “avogado” , accompagnati dalla maionese ,l’unico indispensabile apporto dei buon vecchi grassi saturi.            Questo era più o meno il nostro menù fisso giornaliero che , a seconda dei prezzi, si arricchiva di gallette e cioccolato per l’indispensabile apporto di zuccheri. Mangiare poco, ma io direi il giusto è  riscoprire davvero  i sapori. Con l’acquolina in bocca dopo tutto un giorno di autostop, con il caldo che consuma le ultime energie, i 4 panini giornalieri  sanno a buono. I gusti dei pomodori da supermercato vengono sublimati dalla fame e la maionese all’improvviso si trasforma nella salsa speciale, la migliore della vita.

Andare avanti a pane e acqua ,camminare per km  è anche il metodo più efficace per smaltire i kili in eccesso. Lontano dai miracolosi spot americani per il dimagrimento , 23 giorni di Zig zag cileno mi sono costati 7 kili e ,per la prima volta dopo 2 anni, sono ritornato a vedere i miei addominali nascosti. Sentirsi in forma ,più leggeri e più forti nonostante i soliti 4 panini è lo sprone migliore per continuare a girovagare, se si aggiungono i paesaggi e le avventure, si capisce che passare 3-4 mesi così, è vivere in un limbo sospeso qualche metro da terra,lontano dalla pressante routine, che in questo caso è rappresentata dai 4-5 pasti giornalieri.

Dal limbo cileno,siamo poi ripiombati nell’inferno o meglio nell’ inverno della Bolivia. La Bolivia è piena di contraddizioni,la prima è quella di avere un inverno in estate, il famosissimo inverno boliviano. Se avessi viaggiato per l’Europa a febbraio sarei stato giustamente punito dal freddo,dalla pioggia,dal vento e,in alcuni casi, dalla neve. Ma febbraio nell’emisfero australe è il nostro agosto,l’afa e il caldo non avrebbero lasciato scampo a giovani girovaghi come noi  e, tutto sommato, fino a passare la frontiera lo scenario era quello: caldo pressante e cali di zucchero. Ma la Bolivia, per la sua posizione geografica, vive 2 stagioni uniche: secca e piovosa , che si sovrappongono alle nostre 4.
Essendo un Paese in via di sviluppo(seguendo la nomenclatura politically correct) , il costo della vita calza perfettamente , o quasi, con i salari da miseria dei contadini, operai e minatori, che costituiscono lo zoccolo duro della forza lavoro boliviana. I nostri 4-5 euro al giorno,per il cambio favorevole, valevano nell’ordine da 2 a 3 pasti completi, un letto dove dormire e qualche serata fredda,riscaldata dal dolcissimo liquore alla cocaina. In Bolivia è stata un’esperienza on the road,ma ai limiti dell’opulenza. Presi dalla sindrome dell’europeo ricco, sempre grazie al cambio, ci siamo anche presi il lusso di abbandonare l’autostop e affidarci alle “sicurissime”autolinee boliviane, il tutto sforando il nostro tetto di spesa giornaliero,ma comunque non oltrepassando i 5 euro.  Circoscrivendo l’opulenza all’ambito culinario, i 25 giorni boliviani sono stati il ritorno al cibo,molto spesso grasso della strada. Mi spiego. Salvo nelle grandissime città in Bolivia non esistono i supermercati, che In Cile sono stati la nostra salvezza con le offerte sui pomodori e il pane, quindi i beni di prima necessità da mangiare si comprano nei mercati,una babilonia che parla tutte le lingue autoctone boliviane, un caleidoscopio di colori,ma soprattutto una fucina di infezioni, molte intestinali,visto la scarsa attenzione all’igiene. E qui un inciso, i boliviani non sono sporchi per pigrizia, sono sporchi per cultura.
 Vivere più di venti giorni a “pane e acqua” e arrivare in Bolivia è un’esperienza “double faz” . Nei mercati si mangia tanto con pochissimo, quindi si può tranquillamente soddisfare la fame accumulata nei giorni precedenti. L’altro faccia  della medaglia è che  alla cucina boliviana manca la qualità necessaria per essere definita salutare. Per affrontare le condizioni climatiche e geografiche proibitive i boliviani mangiano pesantissimo. Zuppe a base di tutto e carne, sempre pollo, rigorosamente fritto, completano  il tutto spaghetti fritti e riso pallido.
La cosa positiva è che, vista la qualità del cibo, tutto quello che si mangia si elimina. I bagni pubblici boliviani, che da poco hanno preso piede in Bolivia, capita passeggiando per le strade vedere scritto sui muri : “vietato defecare qui”, sono lo scenario quotidiano  della guerra dei boliviani alla diarrea. La diarrea è un problema diffusissimo in Bolivia,tanto che gli spot nostrani importati dagli Usa pro-dimagrimento ,sono sostituiti dagli spot caserecci  di venditori di infusi contro la diarrea. Chiaramente non c’è nessuna televisione,ma solo centinaia di stand, dire stand è dare un’immagine più o meno verosimile,visto che si tratta di un lenzuolo disteso a terra. I venditori guadagnano più di un qualsiasi minatore,operaio e contadino, vendendo pezzi di legno che trasudano una resina giallastra ,che cotta è il miglior rimedio al cibo spazzatura. Le proprietà magiche di questa resina contribuiscono a ripulire l’intestino uccidendo la flora intestinale superstite in un bagno di diarrea. Della serie chiodo scaccia chiodo.
Dopo 23 giorni di Bolivia siamo ritornati in Cile passando per il Perù svuotati e felici più che mai di ritornare  a vivere a pane e acqua.


Paz,amor y libertad!

venerdì 4 ottobre 2013

Miti e leggende

Da sempre sono stato affascinato dai racconti popolari nel senso letterale del termine: racconti del popolo. Tanto che potevo rimanere per ore ad ascoltare i miei nonni raccontare di quando erano costretti a vivere in 6 in una casa di 40 metri quadri,che ,all’occorrenza, si trasformava in una locanda familiare. Pendevo letteralmente dalle labbra di mia nonna che mi raccontava di quando  nel “reparto lavanderia” del fiume si trovò ad annaspare tra le acque,dopo che il fido “ciuccio” le aveva rifilato a tradimento un  calcio allo stomaco. Mi piaceva così tanto essere trasportato lontano nel tempo seguendo i racconti dei miei nonni che passavo tranquillamente delle ore ascoltandoli parlare quando si incontravano con i loro coetanei. Seguivo ipnotizzato dal dialetto i loro flashback.

Partendo per il Sudamerica non mi aspettavo certo di passare freddi pomeriggi intorno ad una tazza di caffè fumante  e ascoltare in uno spagnolo incomprensibile i racconti dei corrispettivi dei miei nonni sudamericani. Non avrei sicuramente girato con un taccuino a scovare storie sensazionali nelle quali perdermi. Ma nonostante il mio scarso impegno, ho comunque avuto quello che cercavo: storie. Storie fantastiche, storie ai limiti del reale, storie chiaramente bufale e leggende.

Nella top five entrano di diritto le 6 ore trascorse con il camionista “cazzaro”(vi rimando al post sui camionisti)http://persillo.blogspot.it/2013/05/un-viaggio-ascrocco-i-camionisti.html . Le sue 6 ore di monologo interrotte per fare pipì e per scherzare alla radiotrasmittente con il fratello camionista, che lo seguiva a  distanza di sicurezza, furono un vero delirio narrativo. Le sue storie personali si intrecciavano con strane teorie sulle cose del mondo e con predizioni alla  “Mago Otelma”.  Tralasciando il personale  , nei suoi racconti il tipo appariva come un  mix tra Pablo Escobar e il “Che”, il camionista “cazzaro” ci ha offerto anche una storia più popolare: La rivisitazione cilena della fine del mondo Maya. Complice l’elezione del Papa e il meteorite caduto in Siberia, che tenevano banco sui giornali di tutto il mondo in quei giorni, il camionista cazzaro sfoderò una leggenda di “spielberghiana memoria”. Secondo le voci dei suoi amici, rafforzate  dalla lettura della bibbia nera, Il simpatico “cazzaro” ci raccontò la leggenda del Papa nero. La storia era una fusione tra le teorie maya e le predizioni di Nostradamus. Secondo i pre-colombiani , il francese ed il camionista di lì a qualche giorno sarebbe stato eletto  un Papa nero che avrebbe significato la fine dell’era della pace. Sarebbe scoppiata una guerra che avrebbe fatto una cernita dei meritevoli di godere del regno dei cieli e alla fine sarebbero arrivati i cavalieri dell’apocalisse. Insomma se la proprietà intellettuale fosse esistita 3000 anni fa il nostro “cazzaro” avrebbe ricevuto querele per violazione del copyright nell’ordine da S. Giovanni, I Maya e Nostradamus.

Dovemmo arrivare in Bolivia per venire a conoscenza di una delle storie più sconvolgenti del Cile. Come tutti i paesi “esotici” il Cile doveva pur conservare nella sua memoria una storia di Ufo. Dopo tanto girovagare la fortuna ci aiutò. Dopo il viaggio in autobus più pericoloso della nostra vita arrivammo a Santa Cruz de la Sierra in Bolivia, a due passi dalla foresta Amazzonica. A spalancarci la porta della sua enorme casa fu un giovane rasta man  musicista cileno, che era scappato dal “tremolante” Cile  per tuffarsi nel caldo afoso dell’Amazzonia boliviana. I convenevoli durarono pochi minuti,giusto il tempo di lamentarci dal caldo insopportabile. Ci spostammo nell’unica stanza con il ventilatore e il tipo cominciò la sua narrazione. Per riprendere la credibilità, perduta dopo averci detto di essere “Vegano”, ci confidò che il padre  era un impiegato della Nasa. Breve inciso : per la sua aridità che diminuisce le deformazioni visive dovute all’umidità, il deserto dell’Atacama ,ma in generale tutto il nord del Cile , è la zona migliore per impiantare sensibilissimi telescopi.(vedi progetto ARPAS, sigla in Spagnolo). Una volta finite le spiegazioni tecniche il rasta man arrivò finalmente al punto: pare che anche il Cile visse  la sua Roswell.  Il misfatto avvenne nel 1997 a pochi km dalla Serena, nel Valle dell’ elqui,il tempio  del Pisco, forse questo ha influenzato le narrazioni sensazionalistiche. Per intenderci la casa de Pelo(http://persillo.blogspot.it/2013_06_01_archive.html). L’accaduto ovviamente passò sotto silenzio in tutto il Cile,non ne parlò nessun notiziario e come tutte le storie di Ufo e di x Files, secondo l’informatissimo amico Vegano, arrivarono gli Americani. Per qualche settimana la zona dell’impatto venne chiusa a tutti e l’Fbi o chi per lei cominciò un giro nelle case dei 3-4 paesi della zona. Un porta a porta particolare a base di minacce. Così l’episodio che ebbe un numero elevatissimo di testimoni  che avrebbe potuto sconvolgere l’opinione pubblica, rimase un mistero per i pochi eletti lavoratori della Nasa del nord del Cile, per i loro figli e per voi che in questo momento affrontate la lettura.

Per averlo attraversato per metà davvero "on the road" e per essere rimasti la maggior parte del tempo al contatto con la popolazione autoctona, il Cile è stato per noi una fucina di racconti e storie. Chiaramente il Nord del Cile che ospita maree di miniere , tra le più grandi e redditizie del mondo , si presta a storie di complotti  internazionali. Ma la storia miniera che più ci ha sorpreso per la foga con la quale ci è stata raccontata e per le implicazioni nella realtà se se ne accertasse la veridicità è quella sul metallo pregiatissimo : Il Magdano.

Queste le montagne piene del Magdano
Come al solito era mezzogiorno e il sole picchiava forte,anche perché ormai il deserto vero e proprio era a qualche km di distanza , l’aria arida ci bruciava la pelle e ci toglieva le forze, quando vedemmo arrivare un’ auto, che senza esitazioni si fermò e ci raccolse. Il viaggio durò  il tempo necessario per avere un’altra  sconvolgente rivelazione cilena. Il tipo che ci ospitò nella sua auto di servizio era un Cileno di origine araba, come me aveva studiato scienze politiche ,  mi guardò fitto negli occhi e in maniera più che sarcastica mi disse: “hai fatto un’ottima scelta, Vedi me ho studiato scienze politiche e adesso lavoro in miniera!”. Per spezzare una lancia in favore delle scienze politiche c’è da dire che  il tipo non  era un semplice minatore, si occupava infatti delle relazioni esterne di una delle millemila miniere, insomma soldoni. Dopo la frecciata, cominciò la sua dissertazione sui metalli che arricchiscono il Cile, o meglio le multinazionali che comprano le concessioni per scavare dal governo cileno. Chiaramente ci parlò del rame. Ma ci stupì quando tirò fuori il Magdano. A distanza di mesi ancora non riesco a capire se suddetto metallo esista davvero , ma fatto sta che il tipo fu più che convincente. Come  Il re leone con Simba nella celeberrima scena, aprì le sue braccia e indicò le collinette aride che  ci circondavano. :”Vedete queste? Non sono montagne di terra,ma di soldi,tantissimi soldi!! Lì sotto c’è un mare di Magdano : il metallo del futuro”. Scendemmo troppo presto dalla sua auto per controbattere alle sue parole. Il Tempo ci dirà se si trattava di una leggenda, di una gigantesca cazzata o di un’enorme rivelazione. In ogni caso, sono più che sicuro che il governo cileno farà del suo meglio per trarre dalla situazione il minimo beneficio possibile per la popolazione,continuando a svendersi al miglior acquirente.

uno dei "Diablos"
La quarta storia è la tipica leggenda popolare che accompagna i bambini nella loro infanzia,i giovani nella loro intraprendenza e i vecchi nelle tombe. Leggende figlie di tradizioni secolari che non cancellarono nemmeno gli invasori spagnoli,ma che dimostrano a differenza, come le culture andine seppero trarre il meglio dalle peggiori situazioni. Naturalmente la location della leggenda è la Bolivia depredata , alla continua ricerca della sua identità, alle prese con la povertà,la mal nutrizione e le continue pressioni degli “invasori moderni”. L’occasione è il carnevale boliviano,che fosse per gli autoctoni durerebbe tutto l’anno,ma che le autorità hanno ingabbiato nel mese di febbraio. Oruro è una delle città più grandi della Bolivia ed ospita ogni anno il secondo carnevale per grandezza del Sudamerica. Alla samba di Rio i boliviani preferiscono la “cumbia villera”,anche perché l’immensa spiaggia di Copacabana è un sogno a 3500 metri nel cuore delle Ande ,bagnati dall’incessante pioggia dell’inverno boliviano. Le celebrazioni finali oltre a fiumi di alcol offrono  3 giorni consecutivi di sfilate in costume, che sono autentiche rivisitazioni delle leggende tramandate a voce per secoli. La sfilata più famosa è la “Diablada”(la diavolata). Migliaia di persone ballano indossando sgargianti e terrificanti costumi da diavolo a ritmo  degli strumenti di centinaia di bande musicali. Nello stesso giorno tutte le botteghe bruciano incenso e delle strane “saponette” (i desideri) come offerta alla Pachamama( madre terra). La leggenda racconta che durante il periodo del carnevale le viscere della terra si aprono, da queste che normalmente ricacciano oro e argento, escono i demoni ,appunto “los diablos” , ed entrano i fumi della combustione dell’incenso e delle “saponette” che arrivano direttamente al cuore pulsante della madre terra. Fin qui la parte indigena della storia. Grazie all’intervento degli Spagnoli i diavoli,che nella tradizione originaria  dopo 3 giorni di baldoria ritornavano da soli nella terra, adesso ritornano cacciati dalla “Virgen del Socabon”, alla quale viene dedicato interamente il carnevale di Oruro.

L’ultima storia è quella di una leggenda vivente in Cile : l’eremita del km 1265 della Panamericana (contando Santiago come punto 0). Tra i camionisti il fantastico eremita  è più famoso di Maradona tra i calciofili  . Il deserto dell’Atacama ha 2 simboli che ne riassumono la sua essenza, ovviamente oltre alle miniere, la mano del Deserto(monumento che unisce il Sudamerica) e l’eremita. Viaggiavamo ormai da giorni e di lui nemmeno l’ombra, più passava il tempo e più si avvicinava il km fatidico e più aumentava la nostra curiosità. Dovemmo aspettare il ritorno,forse il momento giusto, “il dulcis in fundo” al nostro viaggio. Infatti all’andata mi persi la casetta bianca a forma di igloo( fatta di sterco umano e fango), che passò inosservata per l’arancione monotono del pieno deserto e  per l’autista che ci accompagnava che  era uno dei denigratori dell’eremita, un miscredente che non era interessato a mostrarmi la grande attrattiva dell’Atacama. L’eremita è una vero Messia tra i camionisti, l’Unto dal Signore dei deserti, per portare un messaggio di speranza a tutti. La speranza fondamentalmente di riuscire a vivere nonostante il dramma di essere l’unico superstite dell’incidente automobilistico che sterminò anni orsono la sua famiglia proprio al km 1265 e rimanere nel deserto senza impazzire più di tanto. Certo i racconti dei pochi eletti che hanno attaccato bottone con lui sono dei ritratti di geniale pazzia,ma nonostante tutto sostenibile in un deserto sterminato ,che di notte è scena di apparizione di bambini scomparsi e alieni. L’eremita racconta  a pochi intimi il suo incontro con i Venusiani e la sua ambizione più grande: costruire un’intera cittadina con fango e cacca umana essiccata, su modello del suo igloo. Per fortuna noi incontrammo uno di questi “amici” che ci confessò le passioni dell’eremita. Una caratteristica dell’uomo del deserto è la forte ossessione per il sesso femminile. Di solito i camionisti vanno in pellegrinaggio da lui offrendogli cibo, acqua e soldi .E’ però  categoricamente vietato offrigli cibo  “femmina” cioè con nome femminile  perché lui la rifiuta scocciato. Il nostro incontro avvenne grazie al camionista filantropo(link),le nostre scorte di cibo erano quanto mai  limitate. Era quasi la fine del nostro viaggio e per questo motivo non avevamo tempo di fermarci nei nostri soliti supermercati a rifornirci, quello che avevamo era l’eredità della buona volontà della coppia che ci ospitò ad Antofagasta. Oltre ad un coltello per la difesa personale,ci avevano regalato un pacco di pancarré e una piccola ciambella. Nonostante la nostra buona volontà non avevamo niente da offrigli.  Il filantropo già aveva concordato con l’eremita,che nel frattempo era apparso dal fresco del suo igloo, un incontro in cambio della nostra elemosina. Il camionista gli offrì qualche moneta, un po’ di acqua e poi ci guardò. Noi facevamo gli gnorri,mancavano ancora 1500 km alla fine del viaggio e il nostro peregrinare  poteva durare 1 giorno,ma anche una settimana , e nel nostro ruolino di marcia non avevamo inserito nessuna città,per non perdere tempo.  Il camionista ci guardò di nuovo,stavolta scocciato : “e voi che gli date?? DAI PRENDETE UN PO’ DI PANE!!” Ci convincemmo a sacrificare una metà del nostro pane, ma per l’incontro con il mito eravamo disposti anche a toglierci, letteralmente il pane di bocca.  Noi eravamo distrutti ,sporchi e visibilmente consumati. Il peso di 50 giorni di viaggio afflosciava le nostre pose, quando apparve il “mito” rimanemmo letteralmente stupefatti. Contrariamente alle nostre aspettative apparve un uomo di mezza età scuro. Sarà stato della mia stessa altezza. I capelli lunghi e la barba alla “Cast away” gli coprivano i tratti del viso, I capelli e la barba facevano di lui un eremita,perché per il resto era un comune mortale. Indossava con nonchalance una maglietta bianca “i love Ny”  immacolata e un pantalone da avventuriero con tasche dappertutto e perfino le scarpe sembravano appena comprate. Insomma non proprio un abbigliamento da abitante del deserto. Tra noi e lui, era lui il turista della situazione. Si avvicinò,noi ci aspettavamo una Benedizione da autentico “Messia del Deserto” e invece le uniche parole che uscirono dalla sua bocca furono : “ ma il pane è fresco?” . Ritornammo sul camion con le nostre scorte decimate consapevoli di aver riempito la pancia a un burbero. Era il giusto prezzo da pagare per incontrare un mito vivente.




Paz,amor y libertad!