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venerdì 31 maggio 2013

plaza de la moneda Santiago de Chile

CONSIGLI FREE : la cacca del free rider.
Pagina tratta dal mio diario di viaggio.
SANTIAGO DE CHILE 15 DICEMBRE 2012

Viaggiare  a zonzo ,mangiare a casaccio e bere tutto fuorché acqua, questo è il modus vivendi del turista free rider. Qualcuno per alimentarsi si spinge oltre i limiti della dignità, spazzolandosi tutte le patatine fredde, lasciate sole dai turisti pieni di frittura al tavolo del Burger King di turno. Io no.

 Io uso il Burger king per altro....



Si diceva del modus vivendi del free rider bene. Ma non c’è da trascurare il benessere fisico esplicitato nell’atto epifanico della cacca.  Il grandissimo Kundera dedicò  alla cacca 2 pagine di un edonismo/erotico incredibile.  (l’insostenibile leggerezza dell’essere) . La cacca , non solo un atto funzionale,ma una vera e propria fonte di piacere. Se siete in cerca di emozioni forti , o anche solo in preda ad un atroce  attacco di cagarella e vi trovate in giro per Santiago del Chile, carissimi, entrate nel confortissimo bagno del  Burger King di Plaza de la Moneda. In pieno centro, zero controlli sicurezza, accessibile a tutti ,anche con uno zaino, pulizia( addirittura profumo, che per un bagno di un fast food è una vera rarità). L’unico handicap evidente la carta igienica. Portatela voi,conviene.









P.s. : anche i fast food hanno la loro utilità.
Paz amor y libertad!

sabato 25 maggio 2013


UN VIAGGIO A SCROCCO :

 ACCAMPARE

Una volta scesi dal camion, dopo 6-7 ore(in media) di viaggio, per i primi 5 minuti assaporavamo l’aria di ogni nuovo posto in cui il nostro viaggio “all’avventura” ci portava. Passati i 5 minuti dell’idealista romantico, arrivava la mezz’ora del realista pragmatico. Dopo le congratulazioni con la mia partner di viaggio, un rituale d’obbligo ,come stringersi la mano prima di una partita di calcio, pensavo :“ e mo , dove cazzo andiamo?!”.
Di solito i camionisti ci lasciavano nel posto “x”, quello indicato giornalmente nel cartello, che diligentemente scrivevamo la mattina presto a inizio autostop. Molte  volte però i camionisti ci lasciavano ad una distanza “x” dalla nostra meta del giorno. In quella occasione la frase di cui sopra bisognerebbe leggerla con un tono 10 volte più disperato . Per fortuna non eravamo i soli a dover vivere lo spaesamento e il senso di impotenza, con noi  anche gli altri 4 amici , che di solito arrivavano a distanza di poco tempo. In sei lo spaesamento rimaneva,ma il senso di impotenza lasciava il posto alla forza innata del gruppo ,l’unione fa la forza (cit.). Così  in sei all’imbrunire cominciavamo a camminare, per esplorare la zona, in cerca di civilizzazione o almeno di un fiume o una spiaggia, visto che l’imperativo era : ACCAMPARE.

Prima di partire per il grande viaggio, la mia idea di campeggio si limitava allo stereotipo del campo di boyscout dei film made in Usa. Il sacco a pelo e la tenda da campeggio, li avevo visti nei negozi  e lì la mia mente li sistemava, anche quando li portai con me per il grande viaggio. Non sapevo che farmene.
Il Chile è il luogo ideale anche per questo genere di situazioni. Il fatto che sia un striscia sottile di terra, schiacciata tra le Ande e il pacifico, aiuta molto a chi, come noi, era in cerca di acqua. I fiumi abbondano e le spiagge proliferano. Ma il punto non era tanto trovare un luogo, quanto trovare un luogo sicuro. Come noi, in estate, anche molti animali di piccole,medie e grandi dimensioni cercavano acqua per rinfrescare i loro corpi o per estinguere la loro sete. Oltre ai predatori del mondo animale, l’acqua dei fiumi è spesso obiettivo di contadini della zona, che per irrigare le loro proprietà sarebbero disposti a difendere a colpi di fucile i “loro fiumi”. Quindi da aggiungere allo shock da spaesamento c’era  la disperazione da paranoia. Però forti del gruppo, e stanchi non ci facevamo troppi scrupoli e procedevamo con il rito del montare la tenda. In poco tempo  montare ogni singolo bastone, fissarlo al suolo , aprire la tenda, disporre i sacchi a pelo (tipo letto matrimoniale) era diventato un riflesso condizionato. In un batter d’occhio un suolo vergine si trasformava in un accampamento , con tanto di fuoco e stendi panni. Quando avevamo più tempo riuscivamo anche a scavare latrine, insomma un accampamento 5 stelle lusso. Le serate passavano lente con il rumore del fiume in sottofondo e un panino “alla brace”. Quattro chiacchiere per organizzare il cammino del giorno successivo, una cantata… e a letto. Chiaramente il suolo pietroso non era dei migliori per riposare la schiena, dopo averla caricata per tutto il giorno con lo zaino da venti chili in su. Fin qui l’idealismo e il romanticismo del viaggio, tutto sembrerebbe idilliaco. Ma il mio viaggio non era un tentativo di catarsi, bensì un’esperienza di vita. Spesso  a risvegliarmi dai miei viaggi verso l’infinito ci pensava la realtà. A volte la realtà erano mamma e papà topo , scesi al fiume per una scampagnata con i rispettivi pargoli, che rosicchiavano le briciole dei nostri panini e ci regalavano notti piene di incubi,nei quali giganteschi topi rosicchiavano le nostre teste arrossite dal sole. Altre volte la realtà si manifestava a metà. In una delle nostre riunioni attorno al focolare, in una delle tanti notti tiepide ,oltre al onnipresente suono dei fiumi , sentimmo dei grugniti . Di cani nella zona nemmeno l’ombra. I 3 “uomini” , che insieme a me costituivano il “sesso forte” dell’accampamento , pattugliarono con  me la zona, con improbabili torce a dinamo e bastoni secchi. Quando dopo 10 minuti di brividi freddi e torce tremanti non trovammo niente di insolito,ma continuavamo a sentire rumori, decidemmo di ritornare nelle tende sperando di non essere sbranati. L’indomani trovammo un cartello,che la sera prima avevamo ignorato per la voglia di dormire , che diceva: “Vietato accampare”. Chissà, forse un consiglio più che un divieto. Nei giorni successivi, scoprimmo che la zona poteva essere abitata da puma, che normalmente vivono mansueti sulle montagne,ma che in estate, con la fame che li assale, scendono dalle montagne in cerca di cibo. I brividi ritornarono, quando a distanza di giorni dalla nostra prima esperienza con il selvaggio mondo dell’accampamento, venimmo a conoscenza della notizia di un ragazzo trovato morto su di una collina, vicina alla zona dove accampammo, sbranato da un puma.  Una volta svegli , il bagno nel fiume è un toccasana, per i camionisti, che non sentiranno più odore a morte, in nostra presenza , e per noi, che finalmente potevamo riavere indietro il corpo con il quale avevamo cominciato l’avventura.

Il bagno fresco è impossibile farlo se il luogo scelto per accampare è una spiaggia. La salsedine sporca e rimane appiccicata alla pelle  e con 40 gradi non è la sensazione migliore. Se si sceglie una spiaggia poco abitata si ripresenteranno le condizioni del fiume. Chiaramente nella spiaggia non si avvicinerà mai un puma, quindi in ultima analisi, meglio un spiaggia disabitata, che un fiume disperso nel nulla. Se la spiaggia in questione è in una zona abitata, i pericoli sono altri. Non più puma, ma vandali, tossici o semplicemente la polizia ,che cerca di sfrattarti ,per occupazione di suolo pubblico. Quindi la spiaggia ideale in una città deve essere in una zona non troppo abitata,ma tranquilla: praticamente una mission impossibile.  Ad Antofagasta , cittadina tipo Rimini, al nord del chile a metà strada tra il deserto e l’oceano, arrivammo che era sera, in 4 (gli altri 2 si persero e dormirono in un camion) e si ripresentò la stessa situazione di sempre: non sapevamo dove andare. Mentre stavamo cercando cibo nel supermercato della zona incontrammo altri 2 mochileros  come noi, però con un aspetto peggiore, che ci invitarono a condividere il loro accampamento. A 2 passi dal MC donald locale, in piena zona centrale, all’ombra di una fila di palme, al lato di quello che a prima vista sembrava un lungo mare, stavano tirate 4 tende. 1 dei tipi che ci invitarono e altre 3 di “abituè” della zona. Per 2 giorni accampammo ,stile rom, in pieno centro. I bambini giocavano a 2 passi dalle nostre “case” e gli irrigatori del prato erano perfetti per fare il bucato.

Non sempre però, è così facile e tranquillo accampare in città o ai margini di una città. A San Pedro d’Atacama, un cittadina turistica, immersa nel deserto dell’Atacama( il più arido al mondo) arrivammo alle 22, anche lì in quattro, gli altri due(non gli stessi della volta precedente) erano persi a una centinaia di km da noi e dormirono in un ospedale. Appena arrivati ci offrirono camping e ostelli a prezzi elevatissimi. E’ inutile dire  che declinammo l’invito. Un po’ per i soldi e un po’ perché ,ormai, ci eravamo abituati ad accampare in ogni dove. Quella notte montammo 2 tende in un buco scavato,non so come , né da chi, nel letto di un fiume secco(visto che ci trovavamo nel bel mezzo del deserto). I locali ci avevano avvertito che il luogo spesso ospitava mini festicciole di turisti,ma sempre tranquille, forse un po’ rumorose. Quella notte non ci fu né fuoco e né chiacchierata,eravamo distrutti e andammo a dormire alle 23. Intorno all’una cominciarono a suonare le note dei sopracitati turisti. Le canzoni popolari erano la giusta ninna nanna. Quando terminarono le canzoni popolari(l’indomani scoprimmo che arrivò la polizia a “guastare la festa”ai turisti) nel dormi veglia, più che altro dovuto alla scomodità del terreno ,mi accorsi che al posto dei soliti francesi e tedeschi arrivarono a festeggiare, alle 5 della mattina, i locali. Non c’erano più canti popolari. Non so perché cominciò una rissa. Volarono parole come : “io ti uccido!” , “fai così solo perché ho ucciso la mia compagna” “no,no fermo!! Non la cacciare!!” e i tipici rumori sordi della rissa. Intrappolati nella tenda e nel buco scavato nella sabbia, eravamo allo scuro di tutto. La rissa, che era una normale rissa , per noi era il preludio a un pluriomicidio. Nei 30 minuti o più che rimanemmo svegli a tremare nella tenda, con il coltellino del pane in mano e i bastoni della tenda (le nostre uniche armi)  non potevamo fare a meno di immaginare un assassino mascherato che entrava nella tenda e ci ammazzava a colpi di spranga, o arma da fuoco, faceva lo stesso. Quando se ne andarono dormimmo in quattro nella nostra tenda. E’ inutile dire che l’indomani pagammo i 7 euro e montammo le nostre tende nel camping.

 Ma fu al ritorno, ripercorrendo sempre il “querido chile” che vivemmo l’esperienza più terrificante delle nostre accampate. Eravamo rimasti in due io e la mia ragazza, gli altri erano o tornati a casa o dispersi  in Perù. Eravamo reduci del camionista filantropo (ve lo ricordate?). Bene la sua generosità fu di aiuto ai più,meno che a noi. Arrivammo in uno dei posti più brutti del Chile , Chañaral , che è praticamente un paesino miniera al centro nord del chile. Un posto che non si raccomanda ai turisti. Un ritrovo di minatori e camionisti che distrutti dalle ore di lavoro ,la sera ,si dedicano all’ ozio, bevendo litri di alcol e frequentando i “lugares de piernas”( night club),ma anche direttamente prostitute ai margini della strada. Alle 9 di sera è praticamente una sin city chilena ed è quasi impossibile trovare qualcuno che ti allontani dalla zona. Fortunatamente noi lo incontrammo. Con lui percorremmo pochi km, il giusto per allontanarci dal postribolo a cielo aperto. Il tipo si fermava a mangiare e dormire da un amico,che ci offrì un terreno adiacente al ristorante di un altro suo amico,perché anche lui era un filantropo. Accampammo. Anche lì, in riva all’oceano a 30 metri dall’autostrada, avevamo dei vicini di tenda. Nell ’occasione erano 2: mamma e figlia, che per riscoprire il loro amore avevano intrapreso un viaggio per il chile. Chiaramente anche le 2 donne erano ospiti dell’amico del nostro camionista di fiducia e, visto che erano anche carine, in 2 giorni erano diventate le mozze del ristorante dell’amico dell’ amico del nostro camionista. Anche se i simpatici camionisti che frequentavano il ristorante ci invitarono a bere con loro, io e la mia ragazza, distrutti dai km macinati , dopo una cena superlativa a base di pancarrè e prosciutto, andammo a dormire. Stavolta,per proteggere me e la mia dolce metà avevo un coltello da cucina,ma in ogni caso non lo avrei saputo usare,la serata però non prometteva azione. A notte inoltrata sentimmo i passi del camionista, dell’amico e delle due donne . Ci svegliò il lamento della figlia ,che al suo dire, era stata palpata dall’amico del camionista. La cosa continuò per un buon 20 minuti. Le due donne erano all’orlo di una crisi di nervi, ed io , se è possibile,ero messo peggio. Potenzialmente, avrei vissuto uno stupro live, a 2 metri dalla mia tenda, e magari gli stupratori, mai domi, avrebbero aperto la nostra tenda e violato la mia ragazza, costringendomi a guardare. Di per sé l’esperienza non fu terrificante per ciò che accadde,ma per tutte le paranoie che mi causò. Per fortuna i camionisti non erano degli stupratori,ma solo molto ubriachi, La mattina ci svegliammo di buon ora e via, verso casa. 
Paz amor y libertad.

domenica 19 maggio 2013


UN VIAGGIO A SCROCCO 

I CAMIONISTI.

Un viaggio di 8500 km per il Sudamerica, con pochi spiccioli in tasca, non si affronta se non in autostop. Una volta caricato lo zaino, con il minimo indispensabile: mutande e calze(pesanti) , 4 o  5 magliette , 2 pantaloni , una felpa, un sacco  a pelo e una tenda(e crema solare,con il sole del deserto non si scherza). Se viaggi in coppia e sei il ”maschio” della situazione, non ci sarà nessuna spartizione equa del peso. I Kili in più se li caricherà sempre il “maschio Alfa”. Una volta raggiunta la postazione migliore per il “dedo”, di solito una stazione di benzina,ma spesso nel deserto, qualsiasi cosa che faccia ombra, dopo 2 o 3 ore di dito teso e dolori ai tendini della mano, il viaggio comincia.

Quando i camion sfrecciavano ,portandosi con sé  polvere e creando mini tornado che mi avvolgevano completamente pensavo : “perché sti stronzi non si fermano mai ?!”. Quando all’ennesimo camion, mordicchiando l’ultimo pezzo di panino ,l’unico superstite della sera precedente, ero ormai rassegnato, puntualmente si fermava uno di questi giganti e mi riempiva il cuore di felicità e ,quasi sempre, finivo mezzo strozzato. Nonostante ,oltre al pollice in su, eravamo forniti di cartelli con la nostra destinazione giornaliera, la frase preferita dei camionisti era: “pa’ donde van?” (dove sono diretti?). Queste parole erano la rassicurazione finale.
Il “pa’ donde van”,  è come il “fifa tsn gheim” di FIFA ’98 : obbligatorio per cominciare a giocare. Comodi ,seduti a 2 metri e mezzo dal suolo,con lo sguardo fisso sui paesaggi mozzafiato del deserto, a 90 all’ora ,cominciava la seduta psicoanalitica. Più per sicurezza  che per mania, cominciavo ad analizzare il profilo psicologico dei vari camionisti. Se un camionista è un potenziale assassino , con un poco di attenzione, lo si vede da subito. Certo, una volta  a bordo, ti tieni il camionista maniaco e aspetti la morte, ma almeno la aspetti consapevolmente. Per fortuna nessuno dei nostri “traghettatori”  era un maniaco omicida, anche se molti avevano personalità e profili psicologici abbastanza particolari. Generalmente il 70% dei camionisti è alienato. Questa porzione di camionisti, parla sempre del suo lavoro, del perché lo fa, del fatto che la strada lo libera dalle preoccupazioni di tutti i giorni. Spesso questo “genere” di camionisti  ha una famiglia. I loro camion sono più che altro album fotografici portatili in continua evoluzione. C’è la sezione “figli dalla prima moglie”,poi quella “figli dalla seconda moglie” e alla fine la “sezione devozioni”. Oltre a Cristo , i più venerati dai camionisti cileni, sono la Madonna e San Expedito( patrono di tutte le cause, expedito in spagnolo significa, spedito, veloce. Quindi è un Santo davvero efficiente). La poligamia è abbastanza diffusa tra i “camioneros” cileni. I pochi single accanto ai santi protettori appendono decine di calendari, ma , a dire il vero, i calendari non sono prerogativa esclusiva dei “solteros”, spopolano anche tra gli ammogliati, nella sezione “svago”. Dire alienato ,non è disprezzare il camionista, con la maggior parte di questi ho avuto belle esperienze e non mi sono annoiato. Grazie all’incontro con gli “alienati” so,per esempio, che è meglio comprarsi un camion americano,che combina potenza e velocità. Invece i camion europei, più accurati nel desing, abbinano il comfort a basse prestazioni. Ma oltre a queste perle tecniche, viaggiare con gli alienati è un’esperienza che ti apre gli occhi su molte cose. Mi sono più volte soffermato a pensare : ci sono moltissimi camionisti sparsi per il mondo e a nessuno è mai interessato cosa gli passa per la testa, perché hanno scelto di essere camionisti , quali sono le loro idee politiche, che cosa sanno del “mondo reale”. I miei dubbi li ho riversati su di loro e si sono trasformati in risposte stupefacenti. Chiaramente una buon parte , fa questo lavoro perché è ben pagato, questi sono i veri alienati. La maggior parte ,però, lo fa perché gli piace davvero. Pare che passare settimane al volante su lunghe strade monotone ,rischiando la vita , completamente soli, li aiuti a pensare e a maturare convinzioni. Alcuni di loro mi azzarderei a chiamarli “filosofi metropolitani”.
L’altro 30% è ancora più stupefacente. Ci sono gli accoglienti/ospitali. Considerano il camion la loro casa, ti fanno sdraiare sui loro letti, ti offrono da mangiare , da bere e ti fanno scegliere la musica. Sono passivi, a loro piace ascoltare, quindi io parlavo. Ci sono poi i filantropi , che sono i peggiori se si vuole percorrere grandi distanze in poco tempo. A me è capitato di dover percorrere 300 km con uno di questi filantropi. A dire la verità all’inizio il tipo poteva essere inserito tranquillamente nella categoria degli ospitali, ci ha offerto da mangiare e da bere. Si è rivelato filantropo quando,dopo 1 ora di cammino , si è fermato per la prima volta a offrire da bere ,da mangiare e a regalare qualche spicciolo al famosissimo eremita del km 1265 della ruta 5. L’eremita merita un breve inciso. Per giorni, tutti i vari camionisti ci  hanno raccontato di lui. Ci dicevano che era stato coinvolto in un incidente automobilistico ( all’altezza dello stesso km) e che tutta la sua famiglia ,che viaggiava con lui, era morta. Da quel giorno, narra la leggenda , il tipo si è costruito con le proprie feci una specie di igloo (bianco,per non attirare i raggi solari),  sta cercando di sviluppare e migliorare la stessa tecnologia per costruire un complesso di case nella città più vicina e parla con gli alieni (venusiani). Chi si trova a passare di lì e conosce la storia lascia all’eremita cibo , acqua e spiccioli. L’eremita sceglie e ringrazia(molto freddamente). Quel giorno , l’eremita accettò il nostro pane ,anche se non era “fresco”, ci tolse così la nostra cena. Ma il filantropo non è mai domo, non si stanca mai di aiutare. Il filantropo che ci toccò quel giorno era un campione di generosità. Prima di arrivare alla nostra destinazione si fermò altre 2 volte. La prima per aggraziarsi la Vergine Maria,in un santuario costruito lungo la strada e la seconda per aiutare una professoressa trentenne con annessa prole di pochi mesi e genitori ultrasettantenni , rimasti per ore nel deserto accanto alla loro auto in panne. Durante tutto il cammino non smise mai di giustificare i suoi atti di bontà con la frase : “io faccio del bene,perché  alle persone che fanno del male Dio non le aiuta. Vedete, per esempio il mio compagno che non vi ha voluto prendere a bordo, lui è cattivo ed è già stato punito. La settimana scorsa ha avuto un infarto,ma lui continua a comportarsi male. Nonostante questo, io continuo a “scortarlo” , perché sono buono.” L’ultima categoria sono i “cazzari” o, per dirlo in italiano corrente, i mitomani. I camionisti che rientrano in questa categoria esagerano qualsiasi cosa .Che sono dei “cazzari” lo capisci, perché tutti i “cazzari”, prima o dopo, in 6 ore di viaggio , sparano la “cazzata” del secolo che li sbugiarda. A noi ci toccò il “cazzaro” l’ultimo giorno. Fu il “dulcis in fundo”. Appena mi vide, esausto dopo 2 ore e mezza di attesa, mi chiese : “di dove sei?” ed io “Italiano” e lui “io non prendo italiani, non mi piacciono!”. A quel punto della conversazione, combattuto, tra la volontà di arrivare il prima possibile a casa e l’orgoglio nazional-popolare ,stavo quasi girando le spalle e lasciandolo alle sue stupide convinzioni razziste, quando mi disse: “vabbè, se la tua ragazza è cilena,potete salire”. Salimmo a bordo. I "cazzari", al contrario degli ospitali, sono super attivi,loro parlano in continuazione, quindi  Io annuivo. Tutto quello che il tipo ci diceva, ricorrendo alle migliori tecniche di retorica ci sembra assolutamente indiscutibile. Vero al 100%. Ci raccontò in 2 ore la sua vita a metà tra il gangster dei film americani e il banchiere della porta accanto. Tra traffici di stupefacenti in Germania, dove il nostro "cazzaro" studiava inglese, al  banchiere in Cile, con il colpo di scena finale (tipo film strappalacrime). Il nostro camionista cambiò vita e decise di aiutare il fratello ,investendo i soldi che aveva guadagnato illegalmente in Germania, comprando un camion e aprendo un’impresa di autotrasporti. Giustamente l’artefice del cambio fu la signora anziana, la sua vicina di casa, che in punto di morte gli aprì gli occhi sui veri valori della vita. Da quel giorno sfreccia su e giù lungo la panamerica , in compagnia del suo amato fratello, con il quale si  tiene in contatto  via radio ogni 5 secondi. Chiaramente il nostro ex “bad boy”  vive una storia tormentata con la madre dei suoi figli( anche lui rispetta la regola della poligamia), che lo lasciò per mettersi con  un poliziotto. Indovinate! In preda ad un raptus di gelosia , il mio amico camionista, malmenò il suo rivale in amore, lo mandò all’ospedale e da quel giorno è un camionista ricercato. Ricapitolando,noi ci trovavamo di fronte ad un bad boy ,all’ imbrunire,in pieno deserto. Non dico paura,però un po’ di impressione era normale che ci provocassero i suoi racconti. Il nostro cazzaro, però , quanto mancava 1 ora e mezza  alla nostra meta, si sbugiardò. Si fece prendere la mano e ci disse: “io lo so che voi lo sapete, mi avete già incontrato, io sono un angelo!” . Tra un suo monologo e l’altro, precedentemente,io avevo parlato di mio nonno , della sua gioventù da boscaiolo e del fatto che andava al bosco in groppa ad un asinello in piena notte. In un raptus di mitomania, mi guardò fisso negli occhi e mi disse : “tuo nonno non ti ha mai raccontato di quando l’asino gli parlò?”. Si sbugiardò. Nonostante le cazzate, le opere buone, la loro accoglienza tutti le categorie descritte sono abbastanza piacevoli. Le lunghissime ore di viaggio passano veloci e la stanchezza lascia lo spazio alla curiosità.
 L’ultima categoria, al di sopra di tutte le precedenti è quella del camionista “pesante”. Non pesante, grasso,ma pesante noioso. Il tipico camionista “pesante” a mala pena ti saluta quando entri nel camion, non ti dirà mai il suo nome e se parla è solo perché è un umano anche lui, ed ogni tanto qualcosa deve dirla. Il camionista “pesante” è il più pericoloso di tutti. Con la sua estrema passività,allontana tutti gli spunti di conversazione. Ascolta musica super rilassante. Salire sul suo camion è come prendersi un sonnifero. Il colpo di sonno per lui e per chi viaggia con lui è sempre in agguato. Per questo motivo io e la mia ragazza ci siamo inventati la tecnica del “sonno alterno”. Uno di noi due si siede al lato del camionista e comincia a bombardarlo di domande, cercando di trovare l’argomento che lo stimola,l’altro si apparta sul letto del camion. Chiaramente, la tecnica funziona se i due passeggeri collaborano : uno riposa e l’altro lavora. Nel nostro caso,io ero il prescelto per cominciare. Era durissima, il paesaggio bello,ma monotono del deserto appesantiva i miei occhi, la stanchezza di giorni di “ viaggio  a scrocco “ faceva il resto. Io puntualmente crollavo e la mia ragazza continuava a sognare. Per fortuna il camionista “pesante” non si trova noioso e non si appisola mai.
Paz amor y libertad.

martedì 14 maggio 2013


MENDOZA 13 maggio 2013
Autostop.( cosa fare e cosa non fare)

In Italiano si dice autostop, in inglese “hitchihiking” e in spagnolo “Dedo”. Le molte denominazioni nelle varie lingue indicano la diffusione globale della “pratica” più facile per essere trasportati gratis e magari vivere un’avventura. Quando per la prima volta alzai il dito nell’attesa  che si fermasse un qualsiasi mezzo di locomozione, tutto quello che avevo in mente era l’immagine ,più volte riproposta dai film americani, sicuramente stereotipata, del giovane capelli lunghi e chitarra in spalla in mezzo a sterminate distese di terra , ai margini di lunghe dritte strade a doppio senso. Quando adottai per la prima volta la tecnica, la realtà era un poco diversa. I giovani erano 2, la chitarra c’era(ed ovviamente non era la mia), i capelli lunghi e l’aspetto hippie anche,ma lo scenario era nettamente differente: una strada di campagna alla periferia di Valencia. Anche se l’immagine non era da film, l’esperienza fu indelebile. Il tipo,un napoletano quarantenne,con annessa consorte brasiliana, dopo avermi esposto la sua personalissima posizione sulla giustizia italiana, mi offrì 50 euro : “così ti compri un panino”. Rifiutai i soldi. I 150 km con il mio nuovo amico napoletano  mi svezzarono  completamente .Da allora sono un autostoppista.

Il  Sudamerica è luogo giusto per  il “dedo”,le sue enormi pianure, i suoi sconfinati deserti e le sue immense strade sono perfette per trasformare il “dedo” in  una filosofia di vita. Può essere l’esperienza che ti cambia per sempre. Così è facile incontrare ai margini delle strade i “mochileros”, dallo spagnolo “mocila”(zaino) , soprattutto in estate, “lottando” per accaparrarsi un passaggio e cambiare così la loro vita. Lo scenario per la mia esperienza con il “dedo” è stata la mitica Panamerica, che in Chile è la ruta 5. Si tratta di una striscia d’asfalto lunga circa 5000 km che attraversa il chile dal sud al nord ,passando per la capitale (Santiago) valicando la frontiera con il Perù per poi proseguire lungo tutto il Sudamerica. La “carretera” comincia in Chile  e finisce in Alaska per un totale di circa 28 mila km.
Dietro il semplice gesto del “dedo” si nascondono una serie di regole,non scritte, da rispettare per godere pienamente dell’esperienza uscendone vivi e magari poterla raccontare sul blog. Perché è doveroso ricordare, filosofie di vita a parte, che salire a bordo di un qualsiasi mezzo di locomozione a migliaia di km di distanza da casa non è una cosa da affrontare a cuor leggero. Senza dover pensare a possibili omicidi per mano di camionisti pazzi o a orde di omoni tatuati che ti stuprano in massa, può succedere, ma non succede spesso. Si può pensare a degli incidenti automobilistici mortali,che qui sono abbastanza frequenti, visto che il camion non è stato pensato per trasportare persone e che i camionisti sacrificano la sicurezza e la comodità per qualche “pesos”in più. L’autostoppista deve essere assolutamente flessibile, l’unico obiettivo è arrivare. Dove? Il più lontano possibile. Per questo motivo una delle doti basiche dell’autostoppista è la pazienza. Io ho impiegato 17 giorni ad attraversare il Chile da Valparaiso fino alla frontiera con la Bolivia. Nel cammino ho incontrato ragazzi con la barba lunga, che hanno impiegato più di un mese ad attraversarlo. Per accorciare i tempi di attesa sotto il sole cocente, in mezzo a deserti sterminati è bene organizzarsi. E’ indispensabile per essere presi a bordo dividersi in coppie ,se si è in più di due a viaggiare. Viaggiare solo è più mistico,ma anche  più pericoloso. Ricordo l’esperienza di supertramp (into the wild), altra deformazione hollywoodiana, che alla fine del suo viaggio muore. Siccome l’obiettivo è arrivare , avere un compagno di viaggio è fondamentale. Per andare sul sicuro è meglio essere una coppia di maschi. Non si avvicinerà nessuno uomo dall’aspetto losco, non si fermerà nessun camionista pazzo e ,probabilmente, non si fermerà nessun camionista in generale. Il mondo dell’autostop, come la chiesa, non è ancora pronta per le coppie dello stesso sesso,specie se sono uomini. La maniera perfetta di viaggiare è essere una coppia “tradizionale”, uomo e donna. Il camionista  si fermerà stuzzicato dall'idea di passare 3-4 ore di viaggio con una donna reale, invece dei soliti calendari “osè”. L’uomo sarà il deterrente giusto affinché il camionista rimanga solo “stuzzicato dall'idea "  e non tocchi o molesti. Capita e mi è capitato di vedere in giro per deserti, fiancheggiando le lunghe strade , gruppi di bionde europee( soprattutto tedesche e francesi,che sono le più emancipate)  che,tipo gita turistica, si avventurano con il “dedo”. Sfidano la sorte,ma saliranno sicuro a bordo di un camion,anche se rompono lo schema classico dell’autostop essendo più di due. Il camionista peruviano, che accompagnò me e la mia ragazza, per 400 km nel deserto dell’Atacama mi aprì gli occhi in materia di autostop. Il tipo era il tipico camionista alienato che  capita il 70% delle volte. L’unico legame con la realtà era la radio ,per il resto viveva in un mondo tutto suo. Il camion era tappezzato di calendari play boy. In una delle nostre pochissime chiacchierate mi guardò e mi disse : “siete stati fortunati,io,di solito, non prendo mai nessuno. L’altro giorno ho preso 5 ragazze bionde tedesche ,ma solo perché erano donne, io non voglio avere problemi! Oggi ho preso voi perché avevate un aspetto disperato e sembrate bravi ragazzi”. In queste 3 righe,oltre all’estremo maschilismo, il camionista ha messo in evidenza un altro punto cruciale dell’autostop : l’aspetto. Anche se fa “fico” avere la barba lunga i capelli sporchi e la puzza di sudore da uomo vissuto, in un viaggio in autostop è meglio,per quanto possibile, curare l’igiene , l’estetica  e avere un sorriso, a metà tra felicità e disperazione, tipico di un ragazzo che aspetta sotto il sole cocente da ore,ma che nonostante tutto,una volta a bordo,  regalerà tutta la sua simpatia. L’ultima appunto,per tutti quelli che prenderanno il volo e partiranno alla volta del Sudamerica è che Il 90% delle volte ,per lo meno in Chile, fare autostop, significa fermare un camion. Le “auto private” diffidano degli autostoppisti. La volta in cui si fermerà un’auto privata, sorridete .Di sicuro avete  incontrato un “ex-mochilero”. A questo punto non resta che mettersi le cinture e rilassarsi, perché l’avventura è cominciata.

Paz amor y libertad.

mercoledì 8 maggio 2013

IL MATE E I SUOI DERIVATI

imagine by agostina Alaniz

Mendoza 8 maggio 2013


L’Italia non è un paese per giovani,ce lo dicono spesso i giornali, ce ne rendiamo conto sulla nostra pelle ogni giorno. Sono andato via con la speranza che una nuova casa potesse accogliermi, sono venuto in Sudamerica,in Argentina. Ma l’Argentina non è un paese per caffeinomani come me.
Nonostante questo sia il continente di Colombia e Brasile, dove le pepite di oro nero del caffè  dominano l’agricoltura nazionale, qui in Argentina i camion carichi di pepite dell’oro nero più gustoso sembrano fermarsi al confine. In Cile ,mi potevo immaginare di soffrire di crisi di astinenza,la mia addizione mi ha portato ad un’ardua ricerca di una moka ,che dopo 4 giorni  e 15 euro,mi aveva riportato la speranza,mi sono scontrato poi con i supermercati chileni ,che hanno bottiglioni di cocacola e acqua con le bollicine di 3 litri,ma che non hanno caffè. Sono sopravvissuto da buon terrone con le scorte di caffè dall’Italia. Ma le cose belle hanno sempre una fine ,quindi anche i miei 3 pacchi di Lavazza da 250 g si sono esauriti al mio arrivo nella patria di Maradona e Messi. Chiusa la parentesi chile, grigio e capitalista (una colonia USA), pensavo che nel paese sudamericano,che più di ogni altro si crede europeo,dove il 50% della popolazione è diretto discendente di un italiano, insieme alla Fiat avessimo esportato anche la cultura caffettiera. Invece,  niente da fare. I supermercati vendono caffè Italiano a prezzi esorbitanti,sono lontani i tempi del caffè Conad, qualità e quantità a prezzo stracciato. Quello che si avvicina di più,per colore ,prezzo ,ma non aroma e consistenza ,alle mie esigenze è un caffè(americano) di dubbia provenienza.
Pare che la cultura, il culto del caffè Italiano(soprattutto meridionale) si sia scontrato con la radicata cultura del mate. La bevanda del “che”, ma anche di tutti gli argentini. IL mate è  per gli argentini quello che per me è il caffè. Un Argentino che si rispetti non può svegliarsi,per andare al lavoro senza aver bevuto il suo mate. Per giustificare la loro addizione, un po’ come noi , affibbiano al mate qualità prodigiose,grazie al “principio attivo” miracoloso : La Mateina, che all’occorrenza, mantiene svegli, concentrati ,riposati,rilassati. Qui le celeberrime frasi del marpione nostrano : “andiamo a prenderci un caffè” o “ti offro un caffè” o “vieni a casa mia che ti preparo un caffè”, si trasformano in : “andiamo a farci un mate” o “ti offro un mate” o”vieni a casa mia che ti preparo un mate”. C’è da dire,che prendere un mate è un rito, al pari del bere un caffè. Il mate è un’erba,tipo tè, si serve in un recipientino  a forma di anfora( in versione mini, entra in una mano), con zucchero(molti lo preferiscono amaro) e acqua calda. Per questo, non sto esagerando, passeggiando per la strada si possono incrociare distinti uomini d’affari in giacca e cravatta  con un thermos sotto il braccio,al posto del giornale. A completare tutto una cannuccia in metallo.
 Il mate quindi riveste una funzione di coesione sociale, gruppi di amici si riuniscono nei parchi a bere mate , le casalinghe si danno appuntamento a metà mattinata con mate e biscottini, all’università c’è sempre il “portatore di mate” che comincia dal minuto uno della lezione a servire mate, fino alla fine della lezione, non prende  appunti,rischia la bocciatura,ma è rispettato da tutti.  Io ho provato a restare fedele al culto del caffè, ma sono caduto nel peccato. Adesso bevo mate.
Paz amor y libertad. 

sabato 4 maggio 2013

Italiano cit. (Toto Cutugno)




MENDOZA 3 MAGGIO 2013

Italiano. cit(Toto Cutugno)

E’ ormai trascorso un mese e mezzo da quando ho di nuovo passato la frontiera cilena e mi sono rituffato Ande in giù in quel di Mendoza(la capitale mondiale del vino,che tra l’altro in ARGENTINA è bevanda nazionale)Adesso,a pro e chiudo parentesi, non so quante capitali abbia il vino. In giro per il Sudamerica ho sentito I CHILENI FREGIARSI DEL TITOLO DI CAMPIONI DEL MODNDO nella produzione del nettare degli dei ,in Argentina è bevanda nazionale ,poi in giro per le tante eno-fiere degusti il “grande vino mendozino” leggi l’etichetta e…. Lambrusco. (un saluto al mio bel lambrusco Emilia con le bollicine ,compagno di avventure a Forlì per soli euro 1,75) .

Vino a parte, passare di nuovo la frontiera non è stato shockante ne impattante, mi sono ormai abituato dopo i mesi di viaggio .Non mi stancherò mai di ritrovarmi in un luogo diverso ogni mese, lontano da casa a testa in giù. Qui,al sud del mondo, tutto è nuovo , mi ritrovo a passeggiare per le vie di Mendoza e mi imbatto in scorci impensati, da film.

Retoriche romantiche a parte, c’è una cosa che, qui a Mendoza mi fa stare meglio delle altre: ESSERE ITALIANO. Non è un raptus di patriottismo a farmi scrivere queste parole e nemmeno la lontananza ,è piuttosto una costatazione della realtà. Qui a Mendoza,ma in generale in Argentina, noi italiani, viviamo un razzismo al contrario. Un razzismo buono. ED io, come ogni vittima del razzismo buono,non mi almeno e continuo approfittando della situazione. L’argentina è l’unico paese del mondo in cui sanno chi è Berlusconi ,ma non te lo spiattellano in faccia , a mo di scherno ogni volta che ti presenti. In Argentina, nessuno ridacchiando ti dirà: ahhh Italia … Pasta, Pizza, perché qui hanno imparato a mangiare pasta e pizza di più e meglio di molti italiani. Chiaramente non sentirai mai : “ah sei italiano, la mafia bello il padrino” ,anche perché potresti imbatterti davvero in un pronipote di un Boss. Solo qui, trovi studenti che si affannano per una laurea, nell’università gratuita(davvero gratuita, zero spese) e che a parte per 4 anni ,pur parlando una delle lingue più diffuse al mondo,per diletto e per puro amore linguistico ,studiano italiano(Pagando).

Insomma l’Argentina è il paese al mondo,dove gli stereotipi italiani,non impressionano in negativo,ma piacciono. Ieri mi sono ritrovato ospite in una lezione di italiano,nel circolo degli amici della lingua italiana(uno dei tanti “circoli dilettosi” che annaffiano i cervelli argentini di grammatica italiana a prezzi elevatissimi),una ragazza,mi guarda e fa: “ma è vero che gli uomini del sud Italia sono rudi e calienti?” . Con le lacrime agli occhi,credo di aver raggiunto un orgasmo celebrale.

Paz amor y libertad.