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venerdì 25 ottobre 2013

UN viaggio a scrocco: Pane e Acqua

Il turismo alternativo nel quale mi sono tuffato per 50 giorni, ovviamente oltre a viaggi low cost in camion giganti e lussuosissimi resort  di alberi e sterpaglie,  ai fianchi dei fiumi più limpidi del Cile  mi ha regalato esperienze ai limiti del normale,impagabili.

Impagabili appunto perché non c’è un prezzo da fissare ai tramonti mozzafiato , veri orgasmi a base di rosso,rosa,arancio, per i miei occhi  abituati , da un  po’ di tempo a questa parte, ai colori sintetici dello schermo del computer. Non si può fissare il prezzo all’ebbrezza dell’ ignoto offerto dallo spalancarsi della portiera  di un camion. Non si può fissare il prezzo al  dormire distesi a naso in sù, su  di un letto di sabbia umida, a 2 passi dalle scogliere dell’oceano a migliaia di km dalla luna piena, che sembra alla portata di dito(altro che touch screen e smartphone), sferzati dalla brezza “pacifica” dell’oceano più grande al mondo. Insomma,potrei continuare così  riempiendo almeno 3 pagine di liste degli spettacoli che hanno spinto i miei orizzonti emozionali sempre più in là,ma sarebbe masochista per me,che ormai ricordo il mio girovagare  ai “confini del mondo” come si ricordano le avventure amorose  estive il 15 ottobre. Insomma parafrasando e parodiando il celeberrimo spot : “per tutto il resto c’è Mastercard”.

Ma lontano dal mondo codificato delle banche ,la mia avventura è stata un continuo esperimento ai limiti della soglia di povertà fissata dall’Onu( 2 dollari al giorno,circa 1,50 euro). Ho cercato di raddoppiare la cifra e vedere cosa sarebbe successo. I risultati sono e saranno disvelati in queste pagine cibernetiche.        Essere un S. Franceso del terzo millennio,non ha dietro una  voglia di sciovinismo  e nessuna pretesa di illuminare il mondo malato di abbondanza. Dietro le nostre azioni e il nostro viaggio non c’è nessuna logica hippie e nessuna morale comunista, c’è stata solo la voglia di adattarci al mondo del viaggio on the road, lontano dalla modernità. L’individualismo delle metropoli tutte,anche quelle sudamericane, lascia il posto all’altruismo delle popolazioni “rurali” , che più o meno tutte ci hanno accettato come in una grande famiglia, multietnica, multilingue , multiculturale. In questa grande famiglia non  conta il taglio di capelli,il colore della pelle, insomma si capisce..

Vivere con 4-5 euro al giorno,per me non era una grande novità. Grazie al poco che resta dello stato sociale italiano : la borsa di studio, ho potuto pagarmi da solo gli studi e sopravvivere, lontano dai fasti delle feste universitarie stile Usa, che anche in Italia vanno per la maggiore. Ma poco importa. Ho sempre piacevolmente barattato l’emozione di sorseggiare un birra alla spina al bar  con la “peroni fresca” a casa con i 4 amici di sempre,  ho sempre glissato le caotiche discoteche romagnole ,  preferendo  ballare con il sottofondo della musica che voglio, fresca fresca da una playlist di youtube. Insomma mi piacciono le cose fatte in casa, in tutti i sensi. Questo non vuol dire che abbia vissuto recluso come i frati cappuccini, anch’io ho ripudiato l” ora et labora “ e lo ho  convertito nel miglior “studia e divertiti”. Ma viaggiare con 4-5  euro al giorno calcolando il mangiare,il bere e ,soprattutto in Bolivia, il dormire è diverso dalla statica vita da studente fuori-sede.

Per cercare di limitare le spese e di restare fermo sulla cifra media prefissata l’unica soluzione è portare con sé i “soldi contati”, ovviamente non tutti insieme  per evitare i  più che probabili furti.
Per questo motivo sullo sfondo del deserto dell’Atacama le nostre colazioni, pranzi e cene erano sempre a base di pane. Panini grandi ,medi e piccoli. Avevamo rinunciato  a tutte le piccolissime cose che riempiono la nostra routine, l’unico grande simbolo della normalità,lontana 12 mila km era il pane. Da buon “terrone” il pane per me rappresenta il cibo. Il fatto che 500 gr costassero un terzo di quanto potevamo spendere lo rendeva insostituibile. Il companatico variava dai pomodori all’ “avogado” , accompagnati dalla maionese ,l’unico indispensabile apporto dei buon vecchi grassi saturi.            Questo era più o meno il nostro menù fisso giornaliero che , a seconda dei prezzi, si arricchiva di gallette e cioccolato per l’indispensabile apporto di zuccheri. Mangiare poco, ma io direi il giusto è  riscoprire davvero  i sapori. Con l’acquolina in bocca dopo tutto un giorno di autostop, con il caldo che consuma le ultime energie, i 4 panini giornalieri  sanno a buono. I gusti dei pomodori da supermercato vengono sublimati dalla fame e la maionese all’improvviso si trasforma nella salsa speciale, la migliore della vita.

Andare avanti a pane e acqua ,camminare per km  è anche il metodo più efficace per smaltire i kili in eccesso. Lontano dai miracolosi spot americani per il dimagrimento , 23 giorni di Zig zag cileno mi sono costati 7 kili e ,per la prima volta dopo 2 anni, sono ritornato a vedere i miei addominali nascosti. Sentirsi in forma ,più leggeri e più forti nonostante i soliti 4 panini è lo sprone migliore per continuare a girovagare, se si aggiungono i paesaggi e le avventure, si capisce che passare 3-4 mesi così, è vivere in un limbo sospeso qualche metro da terra,lontano dalla pressante routine, che in questo caso è rappresentata dai 4-5 pasti giornalieri.

Dal limbo cileno,siamo poi ripiombati nell’inferno o meglio nell’ inverno della Bolivia. La Bolivia è piena di contraddizioni,la prima è quella di avere un inverno in estate, il famosissimo inverno boliviano. Se avessi viaggiato per l’Europa a febbraio sarei stato giustamente punito dal freddo,dalla pioggia,dal vento e,in alcuni casi, dalla neve. Ma febbraio nell’emisfero australe è il nostro agosto,l’afa e il caldo non avrebbero lasciato scampo a giovani girovaghi come noi  e, tutto sommato, fino a passare la frontiera lo scenario era quello: caldo pressante e cali di zucchero. Ma la Bolivia, per la sua posizione geografica, vive 2 stagioni uniche: secca e piovosa , che si sovrappongono alle nostre 4.
Essendo un Paese in via di sviluppo(seguendo la nomenclatura politically correct) , il costo della vita calza perfettamente , o quasi, con i salari da miseria dei contadini, operai e minatori, che costituiscono lo zoccolo duro della forza lavoro boliviana. I nostri 4-5 euro al giorno,per il cambio favorevole, valevano nell’ordine da 2 a 3 pasti completi, un letto dove dormire e qualche serata fredda,riscaldata dal dolcissimo liquore alla cocaina. In Bolivia è stata un’esperienza on the road,ma ai limiti dell’opulenza. Presi dalla sindrome dell’europeo ricco, sempre grazie al cambio, ci siamo anche presi il lusso di abbandonare l’autostop e affidarci alle “sicurissime”autolinee boliviane, il tutto sforando il nostro tetto di spesa giornaliero,ma comunque non oltrepassando i 5 euro.  Circoscrivendo l’opulenza all’ambito culinario, i 25 giorni boliviani sono stati il ritorno al cibo,molto spesso grasso della strada. Mi spiego. Salvo nelle grandissime città in Bolivia non esistono i supermercati, che In Cile sono stati la nostra salvezza con le offerte sui pomodori e il pane, quindi i beni di prima necessità da mangiare si comprano nei mercati,una babilonia che parla tutte le lingue autoctone boliviane, un caleidoscopio di colori,ma soprattutto una fucina di infezioni, molte intestinali,visto la scarsa attenzione all’igiene. E qui un inciso, i boliviani non sono sporchi per pigrizia, sono sporchi per cultura.
 Vivere più di venti giorni a “pane e acqua” e arrivare in Bolivia è un’esperienza “double faz” . Nei mercati si mangia tanto con pochissimo, quindi si può tranquillamente soddisfare la fame accumulata nei giorni precedenti. L’altro faccia  della medaglia è che  alla cucina boliviana manca la qualità necessaria per essere definita salutare. Per affrontare le condizioni climatiche e geografiche proibitive i boliviani mangiano pesantissimo. Zuppe a base di tutto e carne, sempre pollo, rigorosamente fritto, completano  il tutto spaghetti fritti e riso pallido.
La cosa positiva è che, vista la qualità del cibo, tutto quello che si mangia si elimina. I bagni pubblici boliviani, che da poco hanno preso piede in Bolivia, capita passeggiando per le strade vedere scritto sui muri : “vietato defecare qui”, sono lo scenario quotidiano  della guerra dei boliviani alla diarrea. La diarrea è un problema diffusissimo in Bolivia,tanto che gli spot nostrani importati dagli Usa pro-dimagrimento ,sono sostituiti dagli spot caserecci  di venditori di infusi contro la diarrea. Chiaramente non c’è nessuna televisione,ma solo centinaia di stand, dire stand è dare un’immagine più o meno verosimile,visto che si tratta di un lenzuolo disteso a terra. I venditori guadagnano più di un qualsiasi minatore,operaio e contadino, vendendo pezzi di legno che trasudano una resina giallastra ,che cotta è il miglior rimedio al cibo spazzatura. Le proprietà magiche di questa resina contribuiscono a ripulire l’intestino uccidendo la flora intestinale superstite in un bagno di diarrea. Della serie chiodo scaccia chiodo.
Dopo 23 giorni di Bolivia siamo ritornati in Cile passando per il Perù svuotati e felici più che mai di ritornare  a vivere a pane e acqua.


Paz,amor y libertad!

venerdì 4 ottobre 2013

Miti e leggende

Da sempre sono stato affascinato dai racconti popolari nel senso letterale del termine: racconti del popolo. Tanto che potevo rimanere per ore ad ascoltare i miei nonni raccontare di quando erano costretti a vivere in 6 in una casa di 40 metri quadri,che ,all’occorrenza, si trasformava in una locanda familiare. Pendevo letteralmente dalle labbra di mia nonna che mi raccontava di quando  nel “reparto lavanderia” del fiume si trovò ad annaspare tra le acque,dopo che il fido “ciuccio” le aveva rifilato a tradimento un  calcio allo stomaco. Mi piaceva così tanto essere trasportato lontano nel tempo seguendo i racconti dei miei nonni che passavo tranquillamente delle ore ascoltandoli parlare quando si incontravano con i loro coetanei. Seguivo ipnotizzato dal dialetto i loro flashback.

Partendo per il Sudamerica non mi aspettavo certo di passare freddi pomeriggi intorno ad una tazza di caffè fumante  e ascoltare in uno spagnolo incomprensibile i racconti dei corrispettivi dei miei nonni sudamericani. Non avrei sicuramente girato con un taccuino a scovare storie sensazionali nelle quali perdermi. Ma nonostante il mio scarso impegno, ho comunque avuto quello che cercavo: storie. Storie fantastiche, storie ai limiti del reale, storie chiaramente bufale e leggende.

Nella top five entrano di diritto le 6 ore trascorse con il camionista “cazzaro”(vi rimando al post sui camionisti)http://persillo.blogspot.it/2013/05/un-viaggio-ascrocco-i-camionisti.html . Le sue 6 ore di monologo interrotte per fare pipì e per scherzare alla radiotrasmittente con il fratello camionista, che lo seguiva a  distanza di sicurezza, furono un vero delirio narrativo. Le sue storie personali si intrecciavano con strane teorie sulle cose del mondo e con predizioni alla  “Mago Otelma”.  Tralasciando il personale  , nei suoi racconti il tipo appariva come un  mix tra Pablo Escobar e il “Che”, il camionista “cazzaro” ci ha offerto anche una storia più popolare: La rivisitazione cilena della fine del mondo Maya. Complice l’elezione del Papa e il meteorite caduto in Siberia, che tenevano banco sui giornali di tutto il mondo in quei giorni, il camionista cazzaro sfoderò una leggenda di “spielberghiana memoria”. Secondo le voci dei suoi amici, rafforzate  dalla lettura della bibbia nera, Il simpatico “cazzaro” ci raccontò la leggenda del Papa nero. La storia era una fusione tra le teorie maya e le predizioni di Nostradamus. Secondo i pre-colombiani , il francese ed il camionista di lì a qualche giorno sarebbe stato eletto  un Papa nero che avrebbe significato la fine dell’era della pace. Sarebbe scoppiata una guerra che avrebbe fatto una cernita dei meritevoli di godere del regno dei cieli e alla fine sarebbero arrivati i cavalieri dell’apocalisse. Insomma se la proprietà intellettuale fosse esistita 3000 anni fa il nostro “cazzaro” avrebbe ricevuto querele per violazione del copyright nell’ordine da S. Giovanni, I Maya e Nostradamus.

Dovemmo arrivare in Bolivia per venire a conoscenza di una delle storie più sconvolgenti del Cile. Come tutti i paesi “esotici” il Cile doveva pur conservare nella sua memoria una storia di Ufo. Dopo tanto girovagare la fortuna ci aiutò. Dopo il viaggio in autobus più pericoloso della nostra vita arrivammo a Santa Cruz de la Sierra in Bolivia, a due passi dalla foresta Amazzonica. A spalancarci la porta della sua enorme casa fu un giovane rasta man  musicista cileno, che era scappato dal “tremolante” Cile  per tuffarsi nel caldo afoso dell’Amazzonia boliviana. I convenevoli durarono pochi minuti,giusto il tempo di lamentarci dal caldo insopportabile. Ci spostammo nell’unica stanza con il ventilatore e il tipo cominciò la sua narrazione. Per riprendere la credibilità, perduta dopo averci detto di essere “Vegano”, ci confidò che il padre  era un impiegato della Nasa. Breve inciso : per la sua aridità che diminuisce le deformazioni visive dovute all’umidità, il deserto dell’Atacama ,ma in generale tutto il nord del Cile , è la zona migliore per impiantare sensibilissimi telescopi.(vedi progetto ARPAS, sigla in Spagnolo). Una volta finite le spiegazioni tecniche il rasta man arrivò finalmente al punto: pare che anche il Cile visse  la sua Roswell.  Il misfatto avvenne nel 1997 a pochi km dalla Serena, nel Valle dell’ elqui,il tempio  del Pisco, forse questo ha influenzato le narrazioni sensazionalistiche. Per intenderci la casa de Pelo(http://persillo.blogspot.it/2013_06_01_archive.html). L’accaduto ovviamente passò sotto silenzio in tutto il Cile,non ne parlò nessun notiziario e come tutte le storie di Ufo e di x Files, secondo l’informatissimo amico Vegano, arrivarono gli Americani. Per qualche settimana la zona dell’impatto venne chiusa a tutti e l’Fbi o chi per lei cominciò un giro nelle case dei 3-4 paesi della zona. Un porta a porta particolare a base di minacce. Così l’episodio che ebbe un numero elevatissimo di testimoni  che avrebbe potuto sconvolgere l’opinione pubblica, rimase un mistero per i pochi eletti lavoratori della Nasa del nord del Cile, per i loro figli e per voi che in questo momento affrontate la lettura.

Per averlo attraversato per metà davvero "on the road" e per essere rimasti la maggior parte del tempo al contatto con la popolazione autoctona, il Cile è stato per noi una fucina di racconti e storie. Chiaramente il Nord del Cile che ospita maree di miniere , tra le più grandi e redditizie del mondo , si presta a storie di complotti  internazionali. Ma la storia miniera che più ci ha sorpreso per la foga con la quale ci è stata raccontata e per le implicazioni nella realtà se se ne accertasse la veridicità è quella sul metallo pregiatissimo : Il Magdano.

Queste le montagne piene del Magdano
Come al solito era mezzogiorno e il sole picchiava forte,anche perché ormai il deserto vero e proprio era a qualche km di distanza , l’aria arida ci bruciava la pelle e ci toglieva le forze, quando vedemmo arrivare un’ auto, che senza esitazioni si fermò e ci raccolse. Il viaggio durò  il tempo necessario per avere un’altra  sconvolgente rivelazione cilena. Il tipo che ci ospitò nella sua auto di servizio era un Cileno di origine araba, come me aveva studiato scienze politiche ,  mi guardò fitto negli occhi e in maniera più che sarcastica mi disse: “hai fatto un’ottima scelta, Vedi me ho studiato scienze politiche e adesso lavoro in miniera!”. Per spezzare una lancia in favore delle scienze politiche c’è da dire che  il tipo non  era un semplice minatore, si occupava infatti delle relazioni esterne di una delle millemila miniere, insomma soldoni. Dopo la frecciata, cominciò la sua dissertazione sui metalli che arricchiscono il Cile, o meglio le multinazionali che comprano le concessioni per scavare dal governo cileno. Chiaramente ci parlò del rame. Ma ci stupì quando tirò fuori il Magdano. A distanza di mesi ancora non riesco a capire se suddetto metallo esista davvero , ma fatto sta che il tipo fu più che convincente. Come  Il re leone con Simba nella celeberrima scena, aprì le sue braccia e indicò le collinette aride che  ci circondavano. :”Vedete queste? Non sono montagne di terra,ma di soldi,tantissimi soldi!! Lì sotto c’è un mare di Magdano : il metallo del futuro”. Scendemmo troppo presto dalla sua auto per controbattere alle sue parole. Il Tempo ci dirà se si trattava di una leggenda, di una gigantesca cazzata o di un’enorme rivelazione. In ogni caso, sono più che sicuro che il governo cileno farà del suo meglio per trarre dalla situazione il minimo beneficio possibile per la popolazione,continuando a svendersi al miglior acquirente.

uno dei "Diablos"
La quarta storia è la tipica leggenda popolare che accompagna i bambini nella loro infanzia,i giovani nella loro intraprendenza e i vecchi nelle tombe. Leggende figlie di tradizioni secolari che non cancellarono nemmeno gli invasori spagnoli,ma che dimostrano a differenza, come le culture andine seppero trarre il meglio dalle peggiori situazioni. Naturalmente la location della leggenda è la Bolivia depredata , alla continua ricerca della sua identità, alle prese con la povertà,la mal nutrizione e le continue pressioni degli “invasori moderni”. L’occasione è il carnevale boliviano,che fosse per gli autoctoni durerebbe tutto l’anno,ma che le autorità hanno ingabbiato nel mese di febbraio. Oruro è una delle città più grandi della Bolivia ed ospita ogni anno il secondo carnevale per grandezza del Sudamerica. Alla samba di Rio i boliviani preferiscono la “cumbia villera”,anche perché l’immensa spiaggia di Copacabana è un sogno a 3500 metri nel cuore delle Ande ,bagnati dall’incessante pioggia dell’inverno boliviano. Le celebrazioni finali oltre a fiumi di alcol offrono  3 giorni consecutivi di sfilate in costume, che sono autentiche rivisitazioni delle leggende tramandate a voce per secoli. La sfilata più famosa è la “Diablada”(la diavolata). Migliaia di persone ballano indossando sgargianti e terrificanti costumi da diavolo a ritmo  degli strumenti di centinaia di bande musicali. Nello stesso giorno tutte le botteghe bruciano incenso e delle strane “saponette” (i desideri) come offerta alla Pachamama( madre terra). La leggenda racconta che durante il periodo del carnevale le viscere della terra si aprono, da queste che normalmente ricacciano oro e argento, escono i demoni ,appunto “los diablos” , ed entrano i fumi della combustione dell’incenso e delle “saponette” che arrivano direttamente al cuore pulsante della madre terra. Fin qui la parte indigena della storia. Grazie all’intervento degli Spagnoli i diavoli,che nella tradizione originaria  dopo 3 giorni di baldoria ritornavano da soli nella terra, adesso ritornano cacciati dalla “Virgen del Socabon”, alla quale viene dedicato interamente il carnevale di Oruro.

L’ultima storia è quella di una leggenda vivente in Cile : l’eremita del km 1265 della Panamericana (contando Santiago come punto 0). Tra i camionisti il fantastico eremita  è più famoso di Maradona tra i calciofili  . Il deserto dell’Atacama ha 2 simboli che ne riassumono la sua essenza, ovviamente oltre alle miniere, la mano del Deserto(monumento che unisce il Sudamerica) e l’eremita. Viaggiavamo ormai da giorni e di lui nemmeno l’ombra, più passava il tempo e più si avvicinava il km fatidico e più aumentava la nostra curiosità. Dovemmo aspettare il ritorno,forse il momento giusto, “il dulcis in fundo” al nostro viaggio. Infatti all’andata mi persi la casetta bianca a forma di igloo( fatta di sterco umano e fango), che passò inosservata per l’arancione monotono del pieno deserto e  per l’autista che ci accompagnava che  era uno dei denigratori dell’eremita, un miscredente che non era interessato a mostrarmi la grande attrattiva dell’Atacama. L’eremita è una vero Messia tra i camionisti, l’Unto dal Signore dei deserti, per portare un messaggio di speranza a tutti. La speranza fondamentalmente di riuscire a vivere nonostante il dramma di essere l’unico superstite dell’incidente automobilistico che sterminò anni orsono la sua famiglia proprio al km 1265 e rimanere nel deserto senza impazzire più di tanto. Certo i racconti dei pochi eletti che hanno attaccato bottone con lui sono dei ritratti di geniale pazzia,ma nonostante tutto sostenibile in un deserto sterminato ,che di notte è scena di apparizione di bambini scomparsi e alieni. L’eremita racconta  a pochi intimi il suo incontro con i Venusiani e la sua ambizione più grande: costruire un’intera cittadina con fango e cacca umana essiccata, su modello del suo igloo. Per fortuna noi incontrammo uno di questi “amici” che ci confessò le passioni dell’eremita. Una caratteristica dell’uomo del deserto è la forte ossessione per il sesso femminile. Di solito i camionisti vanno in pellegrinaggio da lui offrendogli cibo, acqua e soldi .E’ però  categoricamente vietato offrigli cibo  “femmina” cioè con nome femminile  perché lui la rifiuta scocciato. Il nostro incontro avvenne grazie al camionista filantropo(link),le nostre scorte di cibo erano quanto mai  limitate. Era quasi la fine del nostro viaggio e per questo motivo non avevamo tempo di fermarci nei nostri soliti supermercati a rifornirci, quello che avevamo era l’eredità della buona volontà della coppia che ci ospitò ad Antofagasta. Oltre ad un coltello per la difesa personale,ci avevano regalato un pacco di pancarré e una piccola ciambella. Nonostante la nostra buona volontà non avevamo niente da offrigli.  Il filantropo già aveva concordato con l’eremita,che nel frattempo era apparso dal fresco del suo igloo, un incontro in cambio della nostra elemosina. Il camionista gli offrì qualche moneta, un po’ di acqua e poi ci guardò. Noi facevamo gli gnorri,mancavano ancora 1500 km alla fine del viaggio e il nostro peregrinare  poteva durare 1 giorno,ma anche una settimana , e nel nostro ruolino di marcia non avevamo inserito nessuna città,per non perdere tempo.  Il camionista ci guardò di nuovo,stavolta scocciato : “e voi che gli date?? DAI PRENDETE UN PO’ DI PANE!!” Ci convincemmo a sacrificare una metà del nostro pane, ma per l’incontro con il mito eravamo disposti anche a toglierci, letteralmente il pane di bocca.  Noi eravamo distrutti ,sporchi e visibilmente consumati. Il peso di 50 giorni di viaggio afflosciava le nostre pose, quando apparve il “mito” rimanemmo letteralmente stupefatti. Contrariamente alle nostre aspettative apparve un uomo di mezza età scuro. Sarà stato della mia stessa altezza. I capelli lunghi e la barba alla “Cast away” gli coprivano i tratti del viso, I capelli e la barba facevano di lui un eremita,perché per il resto era un comune mortale. Indossava con nonchalance una maglietta bianca “i love Ny”  immacolata e un pantalone da avventuriero con tasche dappertutto e perfino le scarpe sembravano appena comprate. Insomma non proprio un abbigliamento da abitante del deserto. Tra noi e lui, era lui il turista della situazione. Si avvicinò,noi ci aspettavamo una Benedizione da autentico “Messia del Deserto” e invece le uniche parole che uscirono dalla sua bocca furono : “ ma il pane è fresco?” . Ritornammo sul camion con le nostre scorte decimate consapevoli di aver riempito la pancia a un burbero. Era il giusto prezzo da pagare per incontrare un mito vivente.




Paz,amor y libertad!




lunedì 9 settembre 2013

Le origini: Tito.

LE ORIGINI : Tito


 Ogni viaggio ha sempre un inizio ed una fine. La banalità di questa frase è direttamente proporzionale alla realtà delle cose. Quello che 9 mesi fa mi sembrava un autentico salto nel vuoto oggi può essere definito come  il salto mortale più  spettacolare della mia vita.  Come tutti i tuffatori, dopo un tuffo da 10, sono rimasto piacevolmente scioccato  a fissare la mia opera d’arte,mentre tutto intorno a me scivolava.
Così mentre il mio cervello rimaneva fisso nelle imprese memorabili di 9 mesi della mia vita,  il tempo scorreva inesorabile e mi rimandava  alla mia realtà : Tito.

Tito è la  mia Itaca, solo che a differenza di Ulisse non ci sono sirene,  ciclopi , tempeste e maghe a  interporsi tra me e  il  ritorno. I miei mostri sono  le immagini che la mia coscienza proietta nella mia mente, consapevole  appunto della realtà in cui la mia Itaca riposa.
Da tempo avrei voluto scrivere delle mie origini, delle mie radici,  di Tito. Ma solo ora, che la distanza ha assottigliato i lazzi che mi legano al mio passato, ho la lucidità e la voglia di ripercorrere il mio paese e di raccontarlo.

 Ritornare d’estate a Tito mi permette di godere della bellezza del camminare , rinfrescato dalla brezza estiva, in viuzzole troppo anguste per la modernità delle automobili,ma che sono l’habitat ideale per una delle più singolari specie della fauna autoctona la “donna comare”. Questa meraviglia della natura si alimenta di pettegolezzi e vive in ambienti piccoli e chiusi. Questi  esempi di perfezione di biologia umana, molto spesso di piccole dimensioni, sono riconoscibili a distanza per i  versi che emettono. Recitano pettegolezzi a mo’ di rosario, tra di loro l’italiano perde il suo ritmo melodico e si trasforma in una serie di codici criptati. Dall’unione di questi codici  con la velocità  nel pronunciarli e il volume della voce nel farlo(decisamente basso) nasce il  brusio caratteristico di questi esseri. “Le donne comari” vivono in gruppi grandi,quasi in simbiosi con  le appartenenti al gruppo, non c’è pettegolezzo che passa in sordina,tutto, ma proprio tutto viene setacciato dalle lunghe e affilate lingue. Sono le orecchie e l’occhio grande del paese. Non sanno cosa sia l’omertà, tutto quello che scoprono lo rivelano, sono le paladine della libera informazione. D’estate si dedicano alla loro attività all’aperto, occupano i luoghi simbolo del paesino. Le generazioni più antiche di questa specie occupano il centro storico. L’italiano ,in questo ceppo , lascia il posto al titese arcaico , le radici dei loro modismi sono ancora fonte di ricerca di dialettologi di mezzo mondo. Il centro storico, in estate, diventata un labirinto impenetrabile. I più temerari, come Ulisse con le sirene , percorrono i km pavimentati a pietre del centro storico e l’asfalto rovinato del Borgo San Donato con il petto all’infuori e le orecchie ben aperte. Pochi, però resistono ai versi delle “Comari”. E’ comune cadere nelle mille tentazioni offerte,la più pericolosa: un invito a prendere il caffè. E’ capitato più di una volta che qualche temerario non abbia resistito e ,sfiancato dal richiamo del pettegolezzo, sia caduto vittima delle comari
.
Il corrispettivo maschile  della “donna comare” è l “homo seggio”. A differenza delle comare l’ “Homo seggio”, dopo una vita passata a  lavorare le campagne ormai sterili e abbandonate, decide di passare la sua terza età occupando vita natural durante la monumentale fontana di Piazza del Seggio e le annesse scalinate. L’homo seggio svolge prevalentemente il lavoro sporco di controllo degli accessi alla zona “mondana” del paese, la zona del passeggio, insomma la movida. L’homo seggio è il check in di Tito,non c’è targa che non riconosca. Sa con precisione il numero  esatto di “Punto” rimaste in circolazione. Il suo lavoro noioso è un contributo fondamentale per alimentare le storie delle comari. Infatti, spesso, la compagna di vita dell’”homo seggio” è la “donna comare”, da questo incrocio perfetto nasce l’ideal tipo di titese.

Le generazioni successive di titesi sono più aperte alla modernità e sfruttano tutte le opzioni che gli offre la globalizzazione 2.0 per emanciparsi dal vecchio pettegolezzo e rifondarlo. I giovani hanno lasciato il centro storico e la piazza al controllo delle vecchie generazioni occupando il chilometro e mezzo della vecchia strada statale,che collegava Tito  a Satriano. L’attività preferita è il passeggio. La strada statale e  le “villette” adiacenti sono il micro mondo titese, l’apertura al cambio e alle nuove tendenze. Si osservano quasi  tutte le subculture urbane, che a Tito attecchiscono a forza, nutrendosi del normale malcontento giovanile  e della disillusione frutto di una situazione generale immobile , che segna ,ha segnato e segnerà la storia del Popolo Lucano.

Nelle fresche notti estive convivono comitive di pre adolescenti alla moda, con l’ultimo modello di I-phone, con le comitive di rocchettari, con le loro magliette da concerto. Qualche emo,che per sbaglio si trova percorrere il “miglio grigio” del passeggio titese colora di nero le strade. Quà e là  le rime dei rapper nostrani ,altoparlanti del disagio .L’esplosione di colori si completa  con le gamme eccentriche degli aspiranti calciatori e “tronisti” ,immancabili anche a Tito. Il tutto accompagnato con il ronzio  dei “cinquantini" modificati, cadenzati dai bassi dei “venditori di candeggina” di una volta, che passano le notti sui loro macchinoni-discoteca modificati , sfoggiando i loro subwoofer.

La vita brulica d’estate per le vie cittadine e sonnecchia d’inverno. L’orologio scandisce gli stessi ritmi di 50 anni fa,eredità della saggia cultura contadina ,la fortuna di Tito che fu. Le giornate cominciano e finiscono seguendo il percorso nel cielo del sole. Ma dietro le pietre del centro storico, gli orti della zona bassa, i palazzoni della zona nuova, cova il malcontento, frutto di anni vissuti al di sopra delle nostre  possibilità.
A 13 mila km da casa, quando ascoltavo le lamentele dei boliviani ,illusi e derubati delle loro ricchezze 500 anni orsono dai primi esploratori ed oggi dai nipoti dei colonizzatori con accenti stranieri, non mi sentivo poi così stranito. I boliviani rivendicano le loro radici, strappate a forza dal “bianco invasore”,consapevoli che per vivere il mondo moderno bisogna correre,ma incuranti delle competizioni,baratterebbero tranquillamente le connessioni wi fi  con il pezzo di terra che gli permetterebbe  di vivere con poco,ma felici.

Anni di promesse di politici corrotti ,che con la mano sinistra rubavano il pane ai contadini e con la destra  ne distribuivano le briciole, illudendo il popolo contadino che la rivoluzione industriale anche qui,tra i boschi e i fiumi gli  avrebbe permesso di raggiungere il progresso e vivere meglio, hanno paralizzato il paesello,cavalcando i fasti dell’era dell’opulenza tra gli anni '80 e '90.  Si costruirono fabbriche , si tagliarono i boschi. Oggi le fabbriche anche a Tito sono quasi tutte chiuse.  Gli alberi non crescono più e quello che 15 anni fa era destinato ad essere uno dei poli industriali migliori del centro sud italiano è un cimitero di enormi capannoni. Le fosse dei gessi utilizzati dalla chimera del siderurgico devastano il territorio e ammazzano la  gente.

Le viuzze del paese nelle sere estive continuano a brulicare di gente ed alimentare  le contraddizioni. Un paese che invecchia e si spopola precocemente. Questo è Tito.
La mia decisione di andare via ,allungare le radici fino  a rischiare di romperle completamente, è stata una scelta sofferta ma obbligata.  Tito per me è rimasto il paesino dall ’atmosfera ovattata degli anni della mia infanzia, il tipico paesino lucano, in cui  il calore del sole, che illumina la nostra vallata ,viene aumentato dal calore della gente. Tutti ti conoscono ,tutti si conoscono ,come in una grande famiglia. I battibecchi sono all’ordine del giorno,ma regna sempre la pace. Porto Tito nel cuore come i soldati al fronte portavano le immagini scolorite delle loro famiglie.
La posizione geografica di Tito, protetto a nord, sud, ovest e est da verdi montagne  è perfetta per far attecchire profonde radici, che si alimentano di tradizione e aria pura.  L’orizzonte sconfinato dei deserti sudamericani o della pianure del nord Italia a Tito si accomoda oltre le montagne, meno sconfinato. Tutti noi titesi cresciamo  impossibilitati a guardare oltre ,ma non importa, perché  la famiglia, il vero punto fisso delle 7 mila anime che popolano questa verde manciata di km quadrati, è il nostro nord. L’unica salvezza di queste terre martoriate è il tessuto familiare che ha resistito a stento ai continui sussulti di modernità.
Tornare a Tito è un tuffo nella contraddizioni. Un boccata di aria fresca tra le coccole della famiglia e le piccole tradizioni,che ancora resistono al tempo, che dopo un po’ diventa aria irrespirabile claustrofobica, desolante.

Me ne vado con la speranza di tornare con la forza di cambiare le cose, affinché l’immagine sbiadita riacquisti i suoi colori originali.

Paz,amor y libertad!


martedì 25 giugno 2013

Spin off

UN  VIAGGIO A SCROCCO:
PER UN PELO.

Per un pelo è la tipica espressione che in un viaggio come il mio descrive il passaggio da una situazione x ad una y ,che sarebbe dovuta e potuta essere una situazione z,chiaramente una situazione peggiore. Un esempio potrebbe essere  quella volta che “per un pelo” alle sei e mezza del mattino il mitico camionista pinochetista ci raccattò al margine della strada evitandoci una morte per ipotermia  a 120 km dalla frontiera Chile/Bolivia a 4000 metri di altezza. Per un pelo abbiamo scampato il puma affamato nel Valle dell’Elqui.

"el Pelo"
Per un Pelo, all’inizio del nostro viaggio, abbiamo potuto conoscere il mondo dei minatori chileni e le attività mistche di Paihuano. Lo chiamavano così i suoi colleghi di bevute “el Pelo” (il capello), per l’appunto. Quando l’ho conosciuto,mi è sembrato di stringere la mano alla caricatura del Mitico Zamorano, l’ 1+8 della Magica Inter di Ronaldo e company. Con il giocatore cileno,il Pelo, aveva in comune la nazionalità e il naso gigantesco da caricatura in uno di quei mercatini che trovi nel centro o nel lungo mare di qualsiasi città balneare a fine luglio. El Pelo è l’immagine del quarantenne cileno atipico. E’ tutto il contrario del prototipo che  il modello capitalista ha cercato di costruire in Cile, un vero ribelle. Nessuno come lui e i suoi amici rompe la dialettica capitalista alienata, vivere per lavorare. Il suo paradigma è un ben più originale Lavorare per bere, la sua vita è il bere. Il Pelo beve,ma non è un alcolista. Il Pelo beve per superare la sua timidezza e per sciogliere la lingua, potendo così  esprimersi in un pulitissimo spagnolo/cileno ,che altrimenti risulterebbe incomprensibile. Ho provato a parlare con il Pelo quando era sobrio ,ma non ci ho capito niente. Il Pelo è un minatore “verde”, sa che distruggere uno dei paesaggi più belli che io abbia mai visto, scavando per cercare nell’ordine: rame, oro , argento, zolfo e magdano, magari contaminando le falde acquifere con le acque di lavaggio dei suddetti metalli pesanti, è una delle cose più abominevoli che si possa fare a madre natura. Per questo tenta di rimediare al danno bevendo vino e Pisco  ,che la madre terra gli offre ,e contribuisce a ricostruire il verde perduto,coltivando , oltre a qualche pianta di marijuana , vite e alberi da frutto nel suo giardino.

Avevo ancora la mia faccia glabra da quindicenne ,quando conobbi el Pelo. Il nostro viaggio era cominciato da pochi giorni  e già ci offriva uno dei personaggi migliori. Quando Kapok me ne parlò per la prima volta rimasi impressionato. Lui lo aveva conosciuto qualche giorno prima in una festa in cui l’età media dei partecipanti era 25-30,ma nella quale il Pelo si destreggiava benissimo. Kapok non aveva un posto dove dormire, e a Paihuano ,piccolo paesino nel pieno della Valle del Elqui , leader nella produzione del Pisco, non c’erano ostelli  e gli spiazzi lasciati liberi dal fiume erano tutti occupati da camping,che registravano il “tutto esaurito”,ma che comunque avevano prezzi inaccessibili. Non so come fece,ma Kapok riuscì a farsi ospitare nella casa del Pelo.  Quando tre o quattro giorni dopo arrivammo in casa del Pelo,noi eravamo gli ospiti di Kapok, che grazie alla sua chitarra era diventato il cantastorie ufficiale del Pelo and friends. Kapok sapeva strimpellare solo tre o quattro pezzi in Spagnolo(e tutti di Manu Chao) ,per un totale di 15 minuti,pochi,ma un’indispensabile accompagnamento all’ubriacatura. Per la proprietà transitiva : noi( in sei) eravamo amici di Kapok, kapok era amico del pelo & friends, noi quindi eravamo  gli amici del Pelo e per questo trasformammo lo spiazzale, tipo cortile interno, in un camping e montammo le nostre 3 tende. Per me fu la prima esperienza di “accampare in casa”.  Nel cortile 6 metri per 6 dopo la nostra “occupazione” c’era posto per una tavolata e per una 5 ,6 sedie, ma questo non impedì al Pelo nelle tre sere in cui rimanemmo a dormire di organizzare altrettante feste.

La casa che ci ospitava era del padre del Pelo,che la occupava durante tutto l’anno, era usata come casa relax dal Pelo ogni 15 giorni, quando il suo regime di lavoro gli imponeva una pausa. I minatori cileni hanno dei contratti di lavoro particolari, possono scegliere di lavorare una settimana di continuo  e riposarsi 3 giorni ,o lavorare 15 giorni e riposarsi una settimana. La maggior parte dei minatori vive a qualche km dalla miniera e per questo spende i suoi  giorni di bonus rilassandosi nelle sin city Cilene, tipo Chañaral. Ma el Pelo ,non può essere maggioranza e perciò ad ogni pausa lavoro percorre  i 1000 km che separano la miniera dal suo paese per riposarsi e dedicarsi alla Famiglia. Il quadretto familiare si completa con il fratello del Pelo,praticamente una fotocopia del suddetto , però senza la chioma lunga e folta del fratello. Lui è ,per età, il responsabile tra i due. Il fratello del Pelo ha una famiglia tutta sua e dei figli,ma in estate preferisce rilassarsi con gli amici al paesello ,invece di vivere il caos della città .
La casa del Pelo è un’oasi, un rifugio per i tanti festaioli , che d’estate si ritrovano nel valle del Elqui per la raccolta dell’uva. Paihuano è la capitale dell’uva, soprattutto uva da pisco. Il paesino conta con quasi un migliaio di anime, all’apparenza tranquillo, ma in realtà ,soprattutto in estate, è  una paesello del peccato,nonostante abbia solo una discoteca. EL Valle del ‘ELQUI è conosciuto per la sua misticità,grazie al fatto di trovarsi in una zona quasi vergine,senza illuminazione artificiale. La valle è disseminata di osservatori astronomici. La valle attira i turisti del mistico da anni. Ma il misticismo degli abitanti di Phaiuano si disseta con pisco e vino. Sarà per l’alcol o per la visita nel 1997 di un oggetto volante non identificato (una rooswelt Cilena), gli autoctoni del paesino sono davvero tanto sballati. Gli amici del Pelo, tutta Paihuano, più o meno tutti condividono la stessa filosofia di vita e più o meno tutti si massacrano di lavoro per festeggiare di notte. Non hanno altissimi livelli di studio,ma un ‘elevata saggezza popolare, che in una pesino desolato è sufficiente.  

C’era chi ci proponeva di passare la frontiera con l’ Argentina, scalando le Ande a cavallo,per evitare i controlli alla dogana. Tutti ci assicuravano che il cammino era affascinante e mistico e chiaramente tra i viveri per affrontare la traversata non dovevano mancare svariate bottiglie di Pisco.
C’era l’appassionato di calcio, che non potendosi emozionare con le gesta delle squadre del calcio cileno, trovava rifugio nella serie A italiana. Il tipo, che per comodità chiamerò : il malato di calcio , era già a metà bottiglia di Pisco quando mi chiese lumi sul calcio italiano. In pochi secondi la solita inutile discussione sul calcio si era trasformata in una lezione di geografia applicata. Tirò fuori una piastrella da bagno,non so dove l’avesse  trovata, e mi fece disegnare una cartina dell’Italia. Si formò un capannello di persone, che avevano lasciato la pista da ballo,i  4 metri  quadrati lasciati liberi dalle nostre tende, che si erano  interessate alla lezione di geografia. La cartina fu riempita dal “malato di calcio” con una ventina di punti, lui faceva i nomi delle squadre di calcio e io gli indicavo la  città di provenienza. E’ inutile dirlo che i 20 punti corrispondevano alle  città delle 20 squadre di calcio italiane. Tra serie A e serie B ripercorremmo la geografia del “bel paese”. La lezione sarebbe continuata anche toccando l’Unione Europea, partendo dai gironi di qualificazione all’europeo, se non ci fossero stati i lupi.
I lupi, più per l’organizzazione in Branco , che per le doti fisiche ,erano i tipici “sfigatelli” della festa, che non potendo contare su frasi ad effetto o grandi avventure da raccontare  si affidavano al classico “l’unione fa la forza” per soddisfare i lori bisogni di caccia al genere femminile. Nello specifico la preda del branco era la mia ragazza. Mentre io disegnavano , i lupi stavano saggiando   le doti di ballerina della mia ragazza. Per testare  il suo grado di “cilenità” la stavano sfidando a  ballare la cueca, il ballo  nazional-popolare cileno. Ma l’alcol aveva già offuscato la loro galanteria  e quindi sottrassi la preda ai cacciatori.
C’erano le cittadine. Dalla sera prima il Pelo e il fratello vociferavano circa l’arrivo di , e queste sono le sue parole tradotte : “ un gruppo di fiche pazzesche della Serena, delle modelle”. La Serena è la città più grande della zona. L’arrivo delle modelle catalizzò l’attenzione di tutti i lupi di Paihuano,che si concentrarono nella casa del Pelo. Le ragazze erano delle pelo laize (capelli lisci), in gergo cileno è la maniera per definire delle ragazze di alta provenienza sociale, carine e soprattutto che “se la tirano”. Il gruppo era folto. Le ragazze si mischiarono con difficoltà con la plebaglia e praticamente tutta la festa ruotava attorno ai loro bisogni. Loro stavano sedute e il 70% dei festanti si sedeva, loro si alzavano in piedi e tutti si alzavano in piedi. Quando decisero di abbandonare la festa per andare a ballare, della musica più pop in discoteca, lo decise anche lo maggior parte dei partecipanti. Il nostro personalissimo camping si svuotò all’improvviso. Rimasero il fratello del Pelo, noi e il padre del Pelo ,costante presenza delle feste.
Il papà del Pelo.
Il padre del Pelo è l’invitato speciale di ogni festa,anche se questa volta le pelo laize gli rubarono la scena. Non c’è festa senza di lui. E’ la star del tappeto di ghiaia e sassi del mitico cortile del Pelo, un Vip. L’arzillo  ottuagenario cominciava le serate di festa in sordina. E’ timido e sempre siede in disparte. Comincia a bere perché gli amici del Pelo lo costringono. Ha un bicchiere speciale, il tipico quartino da vino che i miei nonni sfoderano in qualsiasi pranzo di famiglia. L’unica differenza è che quello dell’arzillo è sempre pieno di pisco e si svuota più velocemente. Una volta rotto il ghiaccio , le sue guance si colorano di rosso e comincia la sua partecipazione alla festa. Canta musica popolare, balla(le pelo laize gli concessero l’onore del ballo) grida, fa battute e, soprattutto, beve più di tutti gli invitati messi insieme. E’ una belva. E’ una sconfitta personale svegliarsi la mattina dopo della festa con l’arzillo. Noi in generale ci svegliavamo all’una frastornati dal pisco e con nausea. Lui si svegliava due ore prima fresco e rilassato, e mangiava qualsiasi cosa.
 Quando lasciammo la casa del Pelo, scesero le prime lacrime del viaggio. L’esperienza dell’accampare in casa rimase isolata,ma sicuramente una delle migliori del viaggio.



Paz ,amor y libertad!

sabato 22 giugno 2013

El Italiano (cit. Toto Cutugno)

Mendoza 3 mayo 2013 
 traduccion ANNA PATERINO.


Ya ha pasado casi un mes y medio desde la última vez que crucé la frontera chilena para luego ir por los Andes y poner rumbo sur hacia Mendoza (la capital mundial del vino, que en Argentina se considera también bebida nacional). Ahora, dejadme hacer una pequeña digresión, no tengo ni puta idea de cuántas pueden ser las capitales del vino. Aquí en Suramérica LOS CHILENOS SE ALABAN COMO CAMPEONES MUNDIALES de la producción del néctar de los dioses, en Argentina se ha convertido en bebida nacional, en cada rincón encuentras una feria eno-gastronómica, catas “el famoso vino mendozino”, lees la etiqueta y ¡Lambrusco! (Un saludo a mi querido Lambrusco Emilia con burbujitas, compañero de aventuras en Forlì, por sólo 1,75 euros).
Dicho esto, cruzar la frontera no ha sido ni chocante ni desconcertante. Llevo ya varios meses viajando y me he acostumbrado bastante. Nunca me cansaré de vivir cada mes en un sitio distinto, lejos de mi casa y cabeza abajo. Aquí, en el sur del mundo, todo es nuevo, mientras paseo por las calles de Mendoza siempre acabo encontrando rincones hermosos, como si estuviera en una peli.
Dejando de un lado las retóricas románticas, hay una cosa que aquí en Mendoza me hace sentir super bien : SER ITALIANO. No es por culpa de un momento de locura patriótica que estoy escribiendo esto, ni nostalgia ni nada. Es una simple constatación de la realidad. Aquí en Mendoza, y en general en toda Argentina, los italianos son víctimas de un racismo al revés. Se trata de algo positivo. Y yo, como todos los que somos víctimas de un racismo bueno,  no me quejo y sigo aprovechando de esta situación. Argentina es el único país en todo el mundo en el que saben quién es Berlusconi pero no sienten la necesidad de echártelo a la cara, como para humillarte cada vez que conoces a alguien.  En Argentina nadie, riendo sarcásticamente, te va a decir: ahahah Italia. Pasta, pizza porque aquí han aprendido el arte de comer pasta y pizza mucho más que algunos italianos. Es obvio que nunca encontrarás alguien que te diga “eres italiano, me gusta El Padrino”, sobre todo porque puede que te cruces con uno de los sobrinos o bisnietos de un Boss de la mafia. Sólo aquí conocerás estudiantes universitarios que se las ingenian para acabar la carrera en la universidad gratuita (ningún gasto) y que además durante cuatro años estudian italiano (pagando) simplemente por amor a este idioma.  Esto pese a que hablen uno de los idiomas más difundidos en el mundo.
En fin, Argentina es ese rincón del mundo en el que los estereotipos italianos no impresionan en negativo sino en positivo. Ayer fui invitado a una clase de italiano, en el Círculo de los amigos de la lengua italiana (uno de esos queridos círculos que alimentan los cerebros argentinos con gramática italiana a cambio de mucho dinero). Una chica se me acerca y me dice:  “¿es verdad que los italianos del sur son más vigorosos y calientes? Con lágrimas en los ojos, creo haber alcanzado un orgasmo cerebral.

Paz Amor y libertad!

martedì 18 giugno 2013

Le caramelline

LE CARAMELLINE.
L’Argentina è insieme al Brasile il Leader economico del Sudamerica, l’allevamento, l’agricoltura, l’industria estrattiva,l’industria  manifatturiera contribuiscono ad arricchire il Pil argentino. Ma In Argentina e soprattutto qui a Mendoza non c’è sviluppo economico che possa impedire il fiorire della vendita al dettaglio
In centro, in periferia in lunghissime strade, in “vicoli stretti”, dappertutto ,come funghi sbucano i negozietti di vendita al dettaglio di qualsiasi cosa. Qui si chiamano almacenes o semplicemente “negocios”. In generale cominciano come tabaccherie poi crescono e diventano panetterie,le migliori fanno il salto di qualità e alla merce aggiungono qualche  articolo da salumeria. Alcune nel punto più alto dell’attività arrivano a far convivere pane e coca cola con schiume da barba , accendini e occhiali da sole. Un bazar. A Tito c’era Zie Maria, al convento,ma la globalizzazione ha travolto anche lei,adesso rimane, come fiore all’occhiello dell’economia al dettaglio Rocchina d’ pettu. Presto però tutto questo,anche nelle remote cittadine della Basilicata finirà.
Negocio

Per questo camminando per le strade mendosine  mi sembra di camminare lungo una linea del tempo,al ritroso fino alla mia infanzia. C’è da dire che esistono grandi supermercati,ma  pare che gli argentini preferiscano i piccoli almacenes ai giganti pieni di scaffali. La spiegazione è fin troppo facile. Nel mondo di oggi che corre, la gente è disposta a spendere qualche pesos in più per sentirsi fare una battuta dal commerciante di turno. Qui si scambia qualche  pesos per un grazie.
Chiaramente se sei in preda ad un attacco di fame alle 15 del pomeriggio e ti serve urgentemente del pane, puoi anche morire di fame.  Gli almacenes rispettano la siesta. La siesta è un istituzione rispettata da tutti,meno che dal Carrefour a 5 minuti da casa mia( che per la verità, non rispetta nemmeno il “giorno del Signore”). La siesta non è sinonimo di “nullafacenza” o “fannullonismo”  ,ma è un segno di appartenenza culturale. Si capisce che vendere qualsiasi cosa dalle 2 alle 5 del pomeriggio in estate con i 35 gradi di Mendoza, con la carne che sale e scende nell’epiglottide,causa digestione lenta, è una mission impossibile. Si capisce anche che con il suddetto caldo ,nessuno girerà per la città durante la siesta, tutti preferiscono dormire e chi non lo fa si conforma e dorme lo stesso. Alla siesta no ci sono eccezioni. La siesta, però, sballa gli orari e così ,per recuperare le 2/3 ore di sonnellino pomeridiano i venditori al dettaglio si ammazzano di straordinari  e capita di trovarli aperti alle undici di sera,così,giusto se a qualche arzilla vecchietta servisse il pane per accompagnare la zuppa di fagioli…
Un capitolo a parte lo merita l’ almacen  del mio rione o meglio della mia zona. A dire la verità i venditori mendosini non sembrano molto preoccupati dalla concorrenza , per questo è facile che convivano nella stessa via 3 o 4 almacenes ,che vendono di tutto,ma tutti lo stesso e allo stesso prezzo. IL chiosco a una ventina di passi da casa mia è il non plus ultra degli almacenes, l’evoluzione estrema. Non ci trovi occhiali da sole,ma annunci di lavoro temporale, annunci di persone disperse, annunci di badanti che offrono il loro lavoro, foto di cani e questo appeso alla porta di ingresso. Quando si è orami dentro si nota facilmente che la fonte di reddito del negozio non sono solo i salumi, che ormai hanno una patina di qualche centimetro di spessore,ma che la parte del leone la fanno gli alcolici. In bella mostra su degli scaffali precari in ordine di gradazione alcolica,dal più basso al più alto, birra, vino, liquori. La proprietaria della florida attività commerciale, è una signora sulla quarantina, capelli ossigenati, tipo primi anni 2000, ricci e occhiali con montatura sottile. La descrizione potrebbe fermarsi anche qui, non c’è nient’altro che risalta  nel suo aspetto fisico. Il nome della signora l’ho dimenticato appena me lo ha detto,ma non credo sia importante. Per riassumere la sua personalità e catalogarla nel mio cervello io la chiamo semplicemente “la vieja loca” (la vecchia pazza,vecchia in senso affettivo,pazza no). E’ il tipo di persona che vale i 2 pesos in più sul prezzo del pane. Entrare nel suo negozio è come accendere la televisione. Sia la tv spazzatura dei giorni nostri, super gossippara e sia la vecchia tv stile rai educational, d’informazione e di qualità. Il primo giorno quando gli dissi di essere italiano, in un italiano maccheronico mi disse  di parlare altre 3 lingue e di aver studiato diritto. L’aggettivo pazza glielo ho affibbiato non per cattiveria,ma perché descrive perfettamente lo stato in cui le persone finiscono se cercano di seguire i suoi discorsi o di capire i suoi atteggiamenti. La signora passa da uno stato di adulazione incredibile del tipo : “Pasquale(lei il mio nome lo ricorda) ,sei un ragazzo meraviglioso, che bello che tu abbia studiato scienze internazionali e diplomatiche,sono orgogliosa di te!”  che creano una certa aspettativa e invogliano a visitarla,anche solo per comprare del pane, a stati di noncuranza estrema. Molte volte la scena è : signora che parla a telefono, grida a telefono, in modo tale che tutti possano ascoltare le sue storie ed io che aspetto ,aspetto ,aspetto… per fortuna che la signora ha un buon gusto musicale. Tra una pezzo e l’altro,mentre lei sembra prendere una pausa dal monologo telefonico,provo a intervenire : “vorrei mezzo chilo di pane!”, lei continua a parlare ed io continuo ad aspettare. Quando finisce,mi aspetto il solito complimento e lei, secca e quasi scocciata per avermi visto aspettare mentre  parlava a telefono    : “cosa volevi?”.

Gli orari del suo negozio , se fossero mestruazioni, desterebbero molta preoccupazione, sono sballatissimi. Se apre la mattina, è dalle 13 alle 14,anche lei rispetta la siesta,nel suo caso lunghissima. Riapre alle 20 quando il suo negozio diventa taverna, grazie al tavolino di plastica con ombrellone e annesse sedie al lato dell’entrata. Richiuderà a notte inoltrata. Quando ,una delle poche volte che mi sono permesso di chiederle il perché degli orari a casaccio, lei mi ha risposto : Noo è che ieri sono rimasta al negozio fino a tardi,sono venuti dei clienti, abbiamo bevuto e poi siamo andati al parco a fumare fiori, Tu fumi  fiori? Se vuoi io ho un amico,ti posso fare da tramite. E fu in quella situazione che capii le sue fonti di reddito ,oltre che i suoi orari.

Quando mia madre mi mandava a “fare la spesa”  ,quando ancora c’era la lira, il resto era complicato e per arrotondare Zie Maria mi dava una caramellina .

Qui la caramellina è un’istituzione quasi quanto la siesta. Perfino il carrefour accanto alle banconote ,nel registratore di cassa, ha il reparto dedicato alle caramelline. Le carramelline in Italia servivano per sostituire gli spiccioli, qui servono come una vera banconota. Volendo dare una spiegazione logica, si può tirare in causa l’inflazione, che svaluta la moneta argentina anche del 30% ogni mese, quindi come conseguenza i prezzi aumentano e non sempre “precisi”, molte volte ci sono degli avanzi: le caramelline.
Le caramelline alla frutta sono le più diffuse,se il resto è consistente allora potresti portarti a casa addirittura un cioccolatino. Esistono le monete da 25 centesimi di peso,esistono da 50 cent esistono da 1 peso e persino da 2,ma sono come le figurine Panini, impossibili da trovare. Per questo motivo se giri con una banconota da 100 pesos (13 euro) e vuoi comprare in un almacen sei spacciato. Nessuno ti darà il cambio e in generale c’è una specie di selezione previa. Prima di comprare i negozianti ti chiederanno: “con quanto mi paghi?” Con 100 pesos nessuno ,se non il carrefour, ti accetterà. Anche per questo c’è una spiegazione logica,sempre legata all’inflazione,il governo per frenarla ritira la carta moneta in eccesso, quindi è difficile trovare il cambio a 100 pesos, che ,tra l’altro, sono facili da copiare. Se paghi con 20 pesos, tieniti pronto mangerai tante caramelline.


Paz ,amor y Libertad!

martedì 4 giugno 2013

MENDOZA 2 GIUGNO 2013

LA FESTA DEL GROTTESCO.


Siamo arrivati in piazza sulle ultime note dell’inno argentino. Il tempo di sistemarci al caldo sole autunnale, qui ci saranno una trentina di gradi e la gente sta imbacuccata,  qualche occhiata quà e là  per orientarmi , parte l’inno d’Italia. Si vede che gli organizzatori smanettano molto in internet, ma che però,dovuta l’età, i capelli bianchi presenti nella piazza brillano colpiti dal sole, non ne capiscono molto. L’inno di Mameli, proposto alla piazza acclamante, è una delle versioni karaoke riproposte su youtube, che si avvicinano allo stile neomelodico napoletano. IN 5 minuti la cerimonia ci aveva già mostrato i livelli pacchiani che avrebbe potuto raggiungere.
bambino e annessa divisa(foto a scrocco)

Con una mano al petto ho cantato l’inno ,lo sguardo fisso alla “escuela Italiana” presente in piazza con il suo coro,  10 tra bambini e bambine con indosso una divisa alquanto discutibile. Il grigio dei pantaloni corti e della cravatta insieme alle bretelle per gli uomini, mi hanno riportato agli album fotografici ,che mi mostravano i miei nonni. Made in Italy anni ’30. Prima di arrivare alla piazza General S. Martin, ero abbastanza cosciente di quello che avrei vissuto. L’antipasto della stravagante cerimonia di oggi,all’insegna dell’amarcord me lo ero mangiato ieri sera.
Un po’ di tempo fa, un mio compagno di università,anche lui italiano per discendenti, un po’ come tutti qui in Argentina, con un dubbio italiano,mi aveva invitato a partecipare ai festeggiamenti per la nostra amata Repubblica. Il volantino diceva : “il console bla bla e la sua consorte bla bla, vi invitano a partecipare al concerto della filarmonica dell’universidad de cuyo diretta dal grande maestro italiano bla bla bla.” Avevo annotato l’indirizzo e avevo convinto la mia dolce metà a partecipare. Alla fine la musica ,anche la classica, è una maniera per avvicinarla alla mia cultura. Per l’occasione,vista l’importanza dell’evento, quasi un gala,ho rispolverato la pashmina  che mi ha regalato mia nonna, anche perché, la mia kefia da viaggio l’ho dimenticata nel camion del simpaticissimo Antonio, ormai 4 mesi orsono.  Avevo indosso la maglietta nera, che riservo per le grandi occasioni, indossavo perfino un sobrio jeans, senza parlare della mia consorte. Insomma eleganti più che mai ci siamo incamminati alle nove della sera convinti della generosità del console ,che avrebbe offerto ad una centinaia di persone un maestoso concerto gratis. Per qualsiasi evenienza i quasi 3 euro che avevo nella tasca sarebbero stati il nostro salva vita. Alle porte del teatro c’era la ressa ordinata da gran gala. E’ inutile dirlo che i miei jeans e la mia pashmina sfiguravano a confronto con i foulard e le pellicce che facevano capolinea, anche qui, tra le teste canute dei tanti “giovincelli” presenti. Ma ormai eravamo lì e non potevamo desistere.
Non abbiamo desistito neanche quando il gentile signore alla porta ci ha respinti perché la sala era ormai stracolma. Siamo rimasti all’entrata per una decina di minuti e ci siamo accorti che l’entrata era in prevendita a 6 euro e che ,ormai, tutti i biglietti erano esauriti. Io ho provato a parlare con il tipo all’ingresso e, a dire il vero,la mia scusa era anche abbastanza efficace. Anche se imbarazzato dalla situazione,mi sono avvicinato al signore e gli ho detto: “io sono italiano, mio nonno morì nella seconda guerra mondiale, per questo per me il 2 giugno è un’occasione speciale, mi piacerebbe mostrare la cultura italiana alla mia ragazza che è Argentina. Si può fare qualcosa?” Chiaramente così,mi sono bruciato il primo tentativo. Ma non tutti i miei sforzi sono stati vani. Con il mio goffo tentativo,all’italiana, ho rispolverato nei signori presenti lo stereotipo dell’italiano faccia tosta , ho strappato qualche sorriso e mi sono convinto che la simpatia era l’arma per riuscire ad infilarmi nel teatro e magari non pagare. Il concerto era ormai cominciato da una mezz’ora,ma noi rimanevamo incollati alla porta nella speranza di commuovere il tipo all’ingresso. La svolta è arrivata all’intervallo. Sapevo che in un momento di confusione avremmo potuto fare qualcosa. L’altra coppia di free rider , che erano stati respinti per lo stesso nostro motivo è partita alla carica. Approfittando della confusione si sono infilati, con la classica tecnica del “siamo usciti fuori al fumare e abbiamo lasciato tutto dentro”. Abbiamo rosicato,ma onore ai vincitori. Per entrare nel teatro abbiamo dovuto implorare il tipo all’ingresso,che ha ceduto per sfinimento. Il concerto è durato una fumata di sigaretta, ma rimane la soddisfazione di essere riusciti ad entrare gratis.
il console.


Oggi la storia era diversa, non più il gran gala, non più il teatro, ma comunque, per rimanere eleganti , ci siamo rivestiti come ieri sera. Dopo l’inno è toccato all’Italianissimo  console di mendoza riproporre l’amarcord ,che è stato il leitmotiv della giornata, anche se molti di quelli presenti in piazza erano italiani alla lontana. Tanto per rimanere sul vintage il console ha cominciato a parlare della storia gloriosa degli italiani che lo cito : “ hanno caratterizzato per più Di un secolo ,la storia dell’Argentina” (per fortuna che in piazza non c’era nessun nazionalista argentino) .Il tutto in un “itagnolo” imbarazzante per uno che nel curriculum dice di parlare 4 lingue.
Dopo la performance mi sono soffermato a pensare ancora una volta alla meritocrazia e mi sono convinto,che forse non significa niente  saper parlare alla perfezione la lingua del paese di cui si  è console ed ho quindi  giustificato il cinquantasettenne diplomatico,che sicuro  sarà diventato console per meriti  di curriculum. Fatto sta che il console ha dato mostra non solo delle sue doti linguistiche eccelse,ma anche dell’immagine di bravo politico italiano. I suoi baffi curati e la sua pancia enorme gli conferivano lo stereotipo del politico italiano(per intenderci,quello che mangia alle spalle degli altri).
Dopo le parole del console,ho pensato che il peggio fosse finito e mi sono rilassato godendomi il sole e  la sensazione indescrivibile  di essere l’oggetto del desiderio dei circa 150 spettatori ,cioè  un italiano vero. Ma le sensazione è durata giusto per i  minuti in cui hanno tolto il microfono al console e  lo hanno dato alla presentatrice di turno ,che ha annunciato il grande coro dei 10 bimbi della “escuela italiana” e a seguire l’esibizione del coro degli adulti, molto in avanti con l’età. Mi aspettavano 6 canzoni popolari ed io ho cominciato a stilare nella mia mente la possibile lista : “sicuro ci sarà Bella ciao,no ,macchè è popolare,ma troppo faziosa, vedi i signori che ci sono e vedi le loro pellicce,le loro parrucche…” Le mie speculazioni non erano ancora finite quando irrompe il suono di un piano e le voci da usignolo dei bambini che stonavano canzoni, popolari probabilmente ai nonni che lasciarono 70 anni orsono l’Italia. Saranno state le divise saranno state le canzoni, a me  sembrava di vivere  una riunione dei bimbi “balilla” durante un cerimonia del ventennio . Quando hanno terminato i bambini, ormai la cerimonia aveva già dato il meglio di sé. Il coro degli attempati Italo-argentini, ha seguito quello dei bimbi per  la popolarità dei pezzi cantati,tra i quali una mazurca. Alla fine della cerimonia , saranno state le parole del console, saranno state le canzoni popolari avevo fame. Avevamo un un’unica missione prima di poter andare a casa e ripensare piacevolmente alle 2 ore più grottesche da quando sto in Argentina : scroccare un pranzo.
L’obiettivo era il console, che sì è dileguato tra la folla. Adesso che il console era saltato, l’unica speranza era rintracciare la presidentessa del circolo dei lucani a Mendoza. Mi è bastato dire di essere italiano e subito è spuntata la presidentessa. Anche lei attempata,anche lei italo-argentina e anche lei con indosso una pelliccia. Con lei, che non sembrava tanto interessata a rispolverare le radici, chiacchierando con un gioviane lucano, non è bastata la simpatia.
Morale della favola: sognavamo un piatto di orecchiette o ravioli serviti da una bella donna lucana ,seduti ad una tavolata di 20/30 persone, con le damigiane di vino rosso piene e ci siamo ritrovati in due seduti al tavolo della nostra cucina con una frittatina da 2 uova e acqua del rubinetto da bere.
Paz amor y libertad.



venerdì 31 maggio 2013

plaza de la moneda Santiago de Chile

CONSIGLI FREE : la cacca del free rider.
Pagina tratta dal mio diario di viaggio.
SANTIAGO DE CHILE 15 DICEMBRE 2012

Viaggiare  a zonzo ,mangiare a casaccio e bere tutto fuorché acqua, questo è il modus vivendi del turista free rider. Qualcuno per alimentarsi si spinge oltre i limiti della dignità, spazzolandosi tutte le patatine fredde, lasciate sole dai turisti pieni di frittura al tavolo del Burger King di turno. Io no.

 Io uso il Burger king per altro....



Si diceva del modus vivendi del free rider bene. Ma non c’è da trascurare il benessere fisico esplicitato nell’atto epifanico della cacca.  Il grandissimo Kundera dedicò  alla cacca 2 pagine di un edonismo/erotico incredibile.  (l’insostenibile leggerezza dell’essere) . La cacca , non solo un atto funzionale,ma una vera e propria fonte di piacere. Se siete in cerca di emozioni forti , o anche solo in preda ad un atroce  attacco di cagarella e vi trovate in giro per Santiago del Chile, carissimi, entrate nel confortissimo bagno del  Burger King di Plaza de la Moneda. In pieno centro, zero controlli sicurezza, accessibile a tutti ,anche con uno zaino, pulizia( addirittura profumo, che per un bagno di un fast food è una vera rarità). L’unico handicap evidente la carta igienica. Portatela voi,conviene.









P.s. : anche i fast food hanno la loro utilità.
Paz amor y libertad!

sabato 25 maggio 2013


UN VIAGGIO A SCROCCO :

 ACCAMPARE

Una volta scesi dal camion, dopo 6-7 ore(in media) di viaggio, per i primi 5 minuti assaporavamo l’aria di ogni nuovo posto in cui il nostro viaggio “all’avventura” ci portava. Passati i 5 minuti dell’idealista romantico, arrivava la mezz’ora del realista pragmatico. Dopo le congratulazioni con la mia partner di viaggio, un rituale d’obbligo ,come stringersi la mano prima di una partita di calcio, pensavo :“ e mo , dove cazzo andiamo?!”.
Di solito i camionisti ci lasciavano nel posto “x”, quello indicato giornalmente nel cartello, che diligentemente scrivevamo la mattina presto a inizio autostop. Molte  volte però i camionisti ci lasciavano ad una distanza “x” dalla nostra meta del giorno. In quella occasione la frase di cui sopra bisognerebbe leggerla con un tono 10 volte più disperato . Per fortuna non eravamo i soli a dover vivere lo spaesamento e il senso di impotenza, con noi  anche gli altri 4 amici , che di solito arrivavano a distanza di poco tempo. In sei lo spaesamento rimaneva,ma il senso di impotenza lasciava il posto alla forza innata del gruppo ,l’unione fa la forza (cit.). Così  in sei all’imbrunire cominciavamo a camminare, per esplorare la zona, in cerca di civilizzazione o almeno di un fiume o una spiaggia, visto che l’imperativo era : ACCAMPARE.

Prima di partire per il grande viaggio, la mia idea di campeggio si limitava allo stereotipo del campo di boyscout dei film made in Usa. Il sacco a pelo e la tenda da campeggio, li avevo visti nei negozi  e lì la mia mente li sistemava, anche quando li portai con me per il grande viaggio. Non sapevo che farmene.
Il Chile è il luogo ideale anche per questo genere di situazioni. Il fatto che sia un striscia sottile di terra, schiacciata tra le Ande e il pacifico, aiuta molto a chi, come noi, era in cerca di acqua. I fiumi abbondano e le spiagge proliferano. Ma il punto non era tanto trovare un luogo, quanto trovare un luogo sicuro. Come noi, in estate, anche molti animali di piccole,medie e grandi dimensioni cercavano acqua per rinfrescare i loro corpi o per estinguere la loro sete. Oltre ai predatori del mondo animale, l’acqua dei fiumi è spesso obiettivo di contadini della zona, che per irrigare le loro proprietà sarebbero disposti a difendere a colpi di fucile i “loro fiumi”. Quindi da aggiungere allo shock da spaesamento c’era  la disperazione da paranoia. Però forti del gruppo, e stanchi non ci facevamo troppi scrupoli e procedevamo con il rito del montare la tenda. In poco tempo  montare ogni singolo bastone, fissarlo al suolo , aprire la tenda, disporre i sacchi a pelo (tipo letto matrimoniale) era diventato un riflesso condizionato. In un batter d’occhio un suolo vergine si trasformava in un accampamento , con tanto di fuoco e stendi panni. Quando avevamo più tempo riuscivamo anche a scavare latrine, insomma un accampamento 5 stelle lusso. Le serate passavano lente con il rumore del fiume in sottofondo e un panino “alla brace”. Quattro chiacchiere per organizzare il cammino del giorno successivo, una cantata… e a letto. Chiaramente il suolo pietroso non era dei migliori per riposare la schiena, dopo averla caricata per tutto il giorno con lo zaino da venti chili in su. Fin qui l’idealismo e il romanticismo del viaggio, tutto sembrerebbe idilliaco. Ma il mio viaggio non era un tentativo di catarsi, bensì un’esperienza di vita. Spesso  a risvegliarmi dai miei viaggi verso l’infinito ci pensava la realtà. A volte la realtà erano mamma e papà topo , scesi al fiume per una scampagnata con i rispettivi pargoli, che rosicchiavano le briciole dei nostri panini e ci regalavano notti piene di incubi,nei quali giganteschi topi rosicchiavano le nostre teste arrossite dal sole. Altre volte la realtà si manifestava a metà. In una delle nostre riunioni attorno al focolare, in una delle tanti notti tiepide ,oltre al onnipresente suono dei fiumi , sentimmo dei grugniti . Di cani nella zona nemmeno l’ombra. I 3 “uomini” , che insieme a me costituivano il “sesso forte” dell’accampamento , pattugliarono con  me la zona, con improbabili torce a dinamo e bastoni secchi. Quando dopo 10 minuti di brividi freddi e torce tremanti non trovammo niente di insolito,ma continuavamo a sentire rumori, decidemmo di ritornare nelle tende sperando di non essere sbranati. L’indomani trovammo un cartello,che la sera prima avevamo ignorato per la voglia di dormire , che diceva: “Vietato accampare”. Chissà, forse un consiglio più che un divieto. Nei giorni successivi, scoprimmo che la zona poteva essere abitata da puma, che normalmente vivono mansueti sulle montagne,ma che in estate, con la fame che li assale, scendono dalle montagne in cerca di cibo. I brividi ritornarono, quando a distanza di giorni dalla nostra prima esperienza con il selvaggio mondo dell’accampamento, venimmo a conoscenza della notizia di un ragazzo trovato morto su di una collina, vicina alla zona dove accampammo, sbranato da un puma.  Una volta svegli , il bagno nel fiume è un toccasana, per i camionisti, che non sentiranno più odore a morte, in nostra presenza , e per noi, che finalmente potevamo riavere indietro il corpo con il quale avevamo cominciato l’avventura.

Il bagno fresco è impossibile farlo se il luogo scelto per accampare è una spiaggia. La salsedine sporca e rimane appiccicata alla pelle  e con 40 gradi non è la sensazione migliore. Se si sceglie una spiaggia poco abitata si ripresenteranno le condizioni del fiume. Chiaramente nella spiaggia non si avvicinerà mai un puma, quindi in ultima analisi, meglio un spiaggia disabitata, che un fiume disperso nel nulla. Se la spiaggia in questione è in una zona abitata, i pericoli sono altri. Non più puma, ma vandali, tossici o semplicemente la polizia ,che cerca di sfrattarti ,per occupazione di suolo pubblico. Quindi la spiaggia ideale in una città deve essere in una zona non troppo abitata,ma tranquilla: praticamente una mission impossibile.  Ad Antofagasta , cittadina tipo Rimini, al nord del chile a metà strada tra il deserto e l’oceano, arrivammo che era sera, in 4 (gli altri 2 si persero e dormirono in un camion) e si ripresentò la stessa situazione di sempre: non sapevamo dove andare. Mentre stavamo cercando cibo nel supermercato della zona incontrammo altri 2 mochileros  come noi, però con un aspetto peggiore, che ci invitarono a condividere il loro accampamento. A 2 passi dal MC donald locale, in piena zona centrale, all’ombra di una fila di palme, al lato di quello che a prima vista sembrava un lungo mare, stavano tirate 4 tende. 1 dei tipi che ci invitarono e altre 3 di “abituè” della zona. Per 2 giorni accampammo ,stile rom, in pieno centro. I bambini giocavano a 2 passi dalle nostre “case” e gli irrigatori del prato erano perfetti per fare il bucato.

Non sempre però, è così facile e tranquillo accampare in città o ai margini di una città. A San Pedro d’Atacama, un cittadina turistica, immersa nel deserto dell’Atacama( il più arido al mondo) arrivammo alle 22, anche lì in quattro, gli altri due(non gli stessi della volta precedente) erano persi a una centinaia di km da noi e dormirono in un ospedale. Appena arrivati ci offrirono camping e ostelli a prezzi elevatissimi. E’ inutile dire  che declinammo l’invito. Un po’ per i soldi e un po’ perché ,ormai, ci eravamo abituati ad accampare in ogni dove. Quella notte montammo 2 tende in un buco scavato,non so come , né da chi, nel letto di un fiume secco(visto che ci trovavamo nel bel mezzo del deserto). I locali ci avevano avvertito che il luogo spesso ospitava mini festicciole di turisti,ma sempre tranquille, forse un po’ rumorose. Quella notte non ci fu né fuoco e né chiacchierata,eravamo distrutti e andammo a dormire alle 23. Intorno all’una cominciarono a suonare le note dei sopracitati turisti. Le canzoni popolari erano la giusta ninna nanna. Quando terminarono le canzoni popolari(l’indomani scoprimmo che arrivò la polizia a “guastare la festa”ai turisti) nel dormi veglia, più che altro dovuto alla scomodità del terreno ,mi accorsi che al posto dei soliti francesi e tedeschi arrivarono a festeggiare, alle 5 della mattina, i locali. Non c’erano più canti popolari. Non so perché cominciò una rissa. Volarono parole come : “io ti uccido!” , “fai così solo perché ho ucciso la mia compagna” “no,no fermo!! Non la cacciare!!” e i tipici rumori sordi della rissa. Intrappolati nella tenda e nel buco scavato nella sabbia, eravamo allo scuro di tutto. La rissa, che era una normale rissa , per noi era il preludio a un pluriomicidio. Nei 30 minuti o più che rimanemmo svegli a tremare nella tenda, con il coltellino del pane in mano e i bastoni della tenda (le nostre uniche armi)  non potevamo fare a meno di immaginare un assassino mascherato che entrava nella tenda e ci ammazzava a colpi di spranga, o arma da fuoco, faceva lo stesso. Quando se ne andarono dormimmo in quattro nella nostra tenda. E’ inutile dire che l’indomani pagammo i 7 euro e montammo le nostre tende nel camping.

 Ma fu al ritorno, ripercorrendo sempre il “querido chile” che vivemmo l’esperienza più terrificante delle nostre accampate. Eravamo rimasti in due io e la mia ragazza, gli altri erano o tornati a casa o dispersi  in Perù. Eravamo reduci del camionista filantropo (ve lo ricordate?). Bene la sua generosità fu di aiuto ai più,meno che a noi. Arrivammo in uno dei posti più brutti del Chile , Chañaral , che è praticamente un paesino miniera al centro nord del chile. Un posto che non si raccomanda ai turisti. Un ritrovo di minatori e camionisti che distrutti dalle ore di lavoro ,la sera ,si dedicano all’ ozio, bevendo litri di alcol e frequentando i “lugares de piernas”( night club),ma anche direttamente prostitute ai margini della strada. Alle 9 di sera è praticamente una sin city chilena ed è quasi impossibile trovare qualcuno che ti allontani dalla zona. Fortunatamente noi lo incontrammo. Con lui percorremmo pochi km, il giusto per allontanarci dal postribolo a cielo aperto. Il tipo si fermava a mangiare e dormire da un amico,che ci offrì un terreno adiacente al ristorante di un altro suo amico,perché anche lui era un filantropo. Accampammo. Anche lì, in riva all’oceano a 30 metri dall’autostrada, avevamo dei vicini di tenda. Nell ’occasione erano 2: mamma e figlia, che per riscoprire il loro amore avevano intrapreso un viaggio per il chile. Chiaramente anche le 2 donne erano ospiti dell’amico del nostro camionista di fiducia e, visto che erano anche carine, in 2 giorni erano diventate le mozze del ristorante dell’amico dell’ amico del nostro camionista. Anche se i simpatici camionisti che frequentavano il ristorante ci invitarono a bere con loro, io e la mia ragazza, distrutti dai km macinati , dopo una cena superlativa a base di pancarrè e prosciutto, andammo a dormire. Stavolta,per proteggere me e la mia dolce metà avevo un coltello da cucina,ma in ogni caso non lo avrei saputo usare,la serata però non prometteva azione. A notte inoltrata sentimmo i passi del camionista, dell’amico e delle due donne . Ci svegliò il lamento della figlia ,che al suo dire, era stata palpata dall’amico del camionista. La cosa continuò per un buon 20 minuti. Le due donne erano all’orlo di una crisi di nervi, ed io , se è possibile,ero messo peggio. Potenzialmente, avrei vissuto uno stupro live, a 2 metri dalla mia tenda, e magari gli stupratori, mai domi, avrebbero aperto la nostra tenda e violato la mia ragazza, costringendomi a guardare. Di per sé l’esperienza non fu terrificante per ciò che accadde,ma per tutte le paranoie che mi causò. Per fortuna i camionisti non erano degli stupratori,ma solo molto ubriachi, La mattina ci svegliammo di buon ora e via, verso casa. 
Paz amor y libertad.